Da prodotti d’importazione americana a icone nazionali: le nuove dive della musica italiana hanno rivoluzionato l’immagine della showgirl televisiva per costruire un nuovo immaginario femminile in grado di dominare le classifiche a colpi di hit e narrazioni personali.
All’inizio del nuovo millennio, Paola Cortellesi era già un’icona della comicità. “La solitudine mi straccia le palle” cantava nei panni di Britney Spears, nella sua versione tradotta di …Baby One More Time. Codini da scolaretta, gonna a pieghe, coreografie provocanti, la parodia di Cortellesi a Mai dire gol è rimasta negli annales del programma. Più di vent’anni dopo, la Gialappa’s è ancora in tv con un programma che fa da contenitore per le performance di vari comici, il canale è cambiato, ma la sostanza è più o meno la stessa. Anche in questa versione recente del format c’è la parodia di una popstar, con le sue coreografie, la divisa, camicia e cravatta, parigine e frangetta: è Brenda Lodigiani che fa Annalisa. Non bastano queste due imitazioni a tracciare le coordinate del mercato musicale italiano degli ultimi decenni, ma il fatto che a distanza di vent’anni la popstar femminile per eccellenza, quella giusta, da imitare al momento giusto, sia passata dall’essere una diva d’oltreoceano a una cantante nostrana è un dettaglio interessante. E se nel 2001 di cantanti italiane che si avvicinavano al canone estetico della diva in stile Britney o JLo ce n’erano poche, oggi sembra che questa tendenza si stia gradualmente invertendo.
Dolcemente complicate
Dire che in Italia le donne abbiano avuto un ruolo marginale nella scena musicale pop sarebbe una grande bugia. Dire che l’Italia pulluli di popstar, intese come artiste che associano alla loro performance anche una serie di elementi come il ballo o l’uso di costumi di scena, non è una bugia altrettanto grande, ma è comunque un’affermazione azzardata che spalanca le porte a una faccenda complessa. Nella storia dell’industria musicale italiana, la donna sul palco ha una certa responsabilità artistica che, per ragioni culturali e sociali, ha fatto sì che ci fosse una disposizione d’animo meno entusiasta nei confronti di un genere che, nel mondo anglosassone, è stato molto fortunato. Per intenderci, tralasciando il caso unico di Raffaella Carrà, figura larger than life e larger than qualsiasi etichetta le si possa attribuire, bisogna sforzarsi per trovare un corrispettivo italiano di Madonna o Lady Gaga, mix studiato al millimetro di stile, danza, musica.
È come se in Italia, tra gli anni Settanta e i Novanta, ci fosse una divisione netta tra showgirl e artista: se pensiamo a Lorella Cuccarini e Heather Parisi, volti tra i più noti dello spettacolo nostrano, nonostante abbiano delle caratteristiche da popstar internazionale – corpi di ballo, costumi sfavillanti, singoli incalzanti – non è con il ruolo di dive della musica pop che le identifichiamo, piuttosto come icone del nazionalpopolare televisivo, all’interno del quale la musica è un elemento centrale, ma non isolato. Dall’altro lato, invece, la discografia italiana abbonda di donne che hanno fatto della musica una faccenda molto seria. Loredana Bertè e Anna Oxa, per esempio, trasgressive, eccentriche, ma per quanto estreme hanno sempre preservato l’aura da cantanti di spessore, con un’immagine forte e una voce e dei testi altrettanto profondi. Donatella Rettore, anticonformista e strampalata: la sua musica è un tripudio di ironia e di provocazioni, ma pur muovendosi con agilità nel pop, non potremmo associarla al canone classico della popstar. Gianna Nannini, Nada, Fiorella Mannoia, Paola Turci, donne con animo rock, donne con impegno politico, donne che oltre le gonne c’è di più. Laura Pausini, Giorgia, Elisa, tre talenti molto diversi tra loro accomunati da importanti doti canore, carriere di grande impatto commerciale, anche a livello internazionale, e una certa rispettabilità, per non dire austerità, soprattutto nel modo di apparire sul palco. Carmen Consoli, la cantantessa, taglio corto e Fender Telecaster, potremmo inquadrarla come la Courtney Love italiana, di certo non la nostra JLo.
Dalle Lollipop in giù, è una cascata di nomi che emergono dai talent, una caratteristica che negli ultimi anni è diventata sempre meno evidente. Se in un primo momento il marchio “talent show” spiccava, oggi possiamo dire che la provenienza televisiva è un dettaglio secondario. Ed è dal talent che vengono fuori i nomi più acclamati del presente.
I nomi italiani più assimilabili all’universo delle popstar potrebbero essere quelli di Sabrina Salerno e di Paola e Chiara. La prima, figlia della mente di Cecchetto, demiurgo del pop anni Ottanta, ha come caratteristica specifica l’essere voce dell’italo disco: una carriera internazionale, un’immagine forte, una propensione alla messa in scena coreografica. Le seconde, invece, che non a caso sono tornate in auge in questo periodo di grande entusiasmo per la nascita di dive del pop, senza i fronzoli dell’impegno, hanno cavalcato l’onda della dance anni Zero, dopo un esordio intimista con qualche nota malinconica di ballad grunge. Dopo la vittoria di Sanremo giovani nel 1997 con Amici come prima, infatti, il duo si libera dalla veste rock e si scatena con hit sexy che le rendono presto gay icon – con videoclip diretti da niente di meno che Luca Guadagnino – pilastri del Festivalbar e voce di una certa trasgressione erotica che diventa gossip. E mentre Britney, Madonna e Christina nel 2003 shoccavano il pubblico degli MTV Video Music Awards, Paola e Chiara pubblicano il loro album dal titolo emblematico Kamasutra, fasciate in corsetti e reggiseni a vista.
Down Down Down
“Ladies, you’re damn right, you can’t read a man’s mind, we’re living in two tribes and headed for war”, cantavano le Girls Aloud nel brano del 2004 Love Machine. Nel videoclip, le cinque cantanti sfoggiano trucchi sfavillanti e coreografie non troppo complesse ma perfette per il clima ammiccante che genera questa canzone. Sulla scia prolifica delle madrine di questo genere, le Spice Girls, le Girls Aloud rientrano nella categoria di pop femminile sexy ed esplicito, tipico del mercato musicale anglosassone. Niente di innovativo, se consideriamo che tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila, le popstar e le girl band di questo tipo fioccavano, sono gli anni delle Sugabebs e delle All Saints. La vera differenza nel caso delle Girls Aloud la fa un dettaglio importante: il quintetto femminile si conosce dentro al format neozelandese Popstar. Un programma che, visto l’enorme successo, va in onda in cinquanta paesi diversi, e tra questi, prevedibilmente, c’è anche l’Italia.
Dominique Fidanza, Veronica Rubino, Marta Falcone, Marcella Ovani e Roberta Ruiu sono le nostre Girls Aloud, o meglio, sono le Lollipop, nome scelto da una ragazza di Rieti che vinse un concorso lanciato dal programma, figlie del primo talent show trasmesso su una nostra televisione. Nel lontano 2001, Italia 1 e Daniele Bossari si assumono la responsabilità di lanciare un genere che continua a esistere: per la prima volta viene messo in scena nella nostra tv l’assemblamento di un prodotto musicale, studiato a regola d’arte. E le Lollipop, pioniere di un modo di fare musica fino a quel momento estraneo al mercato italiano, per usare un’espressione cara a internet, hanno camminato affinché le nuove donne del pop come Elodie o Annalisa potessero correre. Se negli anni Novanta avevamo avuto un assaggio di questo fenomeno con il carrozzone di Non è la Rai – tra gli autori di Popstar c’è anche Irene Ghergo – e la nascita della teen-diva Ambra Angiolini, il talent apre le danze a un genere fortunato: appena un anno dopo, infatti, ha inizio l’epopea di Amici di Maria De Filippi. La commistione tra musica e tv, non più in termini solo di intrattenimento ma anche di competizione, con il fine ultimo di costruire un personaggio musicale che viva al di fuori della cornice televisiva, ha rivoluzionato il mercato discografico. Dalle Lollipop in giù, restando sul fronte femminile, è una cascata di nomi che emergono dai talent, una caratteristica che negli ultimi dieci anni è diventata sempre meno evidente. Se in un primo momento il marchio “talent show” sul nome di una nuova cantante spiccava, sia in termini positivi che negativi, oggi possiamo dire che la provenienza televisiva è un dettaglio secondario, se non proprio irrilevante. Ed è dal talent che vengono fuori i nomi più acclamati del presente.
Amiche di Maria de Filippi
Nella primavera del 2024, le artiste più ascoltate in Italia, fatta eccezione per Taylor Swift e Dua Lipa, sono italiane. Tre provengono dal mondo del rap, Anna, Rose Villain e Madame, le altre sono state tutte ex concorrenti di Amici di Maria De Filippi. Elodie, Annalisa, Emma Marrone, Angelina Mango: sono donne di età diversa, con stili abbastanza diversi, ma con un passato in comune. È il format di Canale 5, infatti, la più grande e inscalfibile fabbrica di popstar all’italiana.
Partiamo da Emma Marrone, il caso più moderato in questo insieme di donne che hanno deciso di non temere luci stroboscopiche e coreografie sul palco: Emma vince Amici nel 2010, diventando l’emblema, insieme ad Alessandra Amoroso, di quello canone amiciano di canto. Voci potenti, molta grinta, poco stile. Vince Sanremo nel 2012 con una canzone arrabbiata, confermando la sua verve possente e combattiva, coadiuvata dalle vicende personali che la coinvolgono durante quegli anni. Emma, infatti, subisce un tradimento in diretta televisiva quando il tango tra Stefano De Martino e Belen Rodriguez diventa galeotto, proprio sotto le luci degli studi Titanus, dove era nato il loro amore. Da quell’episodio ne esce forte di un’interpretazione memorabile di Bella senz’anima, consacrando ufficialmente il suo ruolo di donna che non si lascia piegare dalle sfortune amorose della vita. Facendo un salto in avanti di dodici anni, Emma torna a Sanremo in Mugler, occhiali da sole, una canzone dance con il ritornello in cassa dritta e una attitude decisamente diversa da quella con cui ha esordito su quel palco. Ora fa featuring con Tony Effe e Lazza, flirta con Tedua alle feste e ridefinisce in termini glamour un personaggio che, fino a poco tempo fa, era confinato all’etichetta di “cantante di Amici” con la voce graffiante e il look tamarro-rock.
Figlia spirituale di Emma, che fu sua coach, Elodie arriva alla scuola di Amici nel 2015 con i capelli rosa e una disposizione d’animo simile a quella della sua mentore. Gran voce, grandi canzoni sanremesi, Elodie resta immobile sul palco mentre dà prova al mondo della sua serietà in termini di performance, che non si dica che non sa interpretare testi dolenti da donna vissuta. La svolta arriva nel 2019, quando al fianco di Marracash sbanca le classifiche cantando di cocktail e accennando coreografie anni Zero. Da quel singolo nacque anche una delle intersezioni tra pop e rap più amate d’Italia, i nostri Rihanna e ASAP Rocky, e la figura di Elodie, abbandonato il taglio corto decolorato e gli abiti a palloncino, fu tutta un’altra storia. Non solo in termini musicali – il mixtape Red Lights è un omaggio alla sua formazione dance, tra discoteche e cubismo – la nuova Elodie, ben distante da quella studentessa polemica ma talentuosa che portava a casa con trasporto i classici della musica leggera italiana, si spoglia, letteralmente, di tutto il peso della serietà che gravava sulle sue spalle. Una vera e propria musa per la moda e per artisti come Mahmood, reginetta del Sanremo del regno Amadeus, quello radiofonico e cool, la cantante romana rispetta i crismi di una vera star del pop, dall’uso massiccio di coreografie al divismo. Cosciente della sua influenza sul mondo queer, solida fan base che appoggia la svolta dance, da sempre termometro della popness di cantanti e attrici, Elodie fa da madrina al Pride e costruisce un’estetica che guarda molto più all’America che alla tradizione del bel canto italiano. E se Striscia le consegna un tapiro d’oro, seguendo le ondate di moralismo generate dalla sua disinvoltura, lei risponde rivendicando l’uso del corpo in termini di emancipazione, altro elemento che la avvicina per affinità a una concezione del pop in stile Dua Lipa o Miley Cyrus.
Essere riconoscibili a colpo d’occhio, costruire un immaginario, diventare, appunto, riproducibili fino al punto di poter essere parodiate. Le donne del pop italiano oggi, tutte figlie della televisione, hanno abbracciato la rivoluzione del mezzo di comunicazione contemporaneo, costruendo un personaggio che non può rimanere bidimensionale.
Angelina Mango, invece, ultima vincitrice di Sanremo che spezza la maledizione degli uomini sul podio con la sua Cumbia della noia, è una sorta di Rosalìa lucana. Già durante e dopo la sua esperienza ad Amici, dove si è classificata seconda, Angelina si lancia sul mercato con una attitudine multitasking: canta qualsiasi cosa, suona, compone e soprattutto balla. E non parliamo di passi di danza accennati ma di coreografie che riproduce sul palco, da Sanremo a Che tempo che fa, dove si dimena fasciata in abiti Etro, che fanno da antipasto per la sua prossima esibizione all’Eurovision, dove è molto attesa. Angelina, come tutte le popstar di successo del presente, spinge sull’intersezione fortunata tra musica e contenuto digitale riproducibile, o in altre parole, virale. TikTok ha rilanciato diverse carriere artistiche in modo imprevedibile, facendo tornare in auge singoli dimenticati o mandando in vetta alle classifiche artisti sconosciuti. Ma più di ogni cosa, Tik Tok ha dato un nuovo senso alla musica rendendola visuale, oltre al videoclip, oltre alle esibizioni televisive, grazie alle infinite riproduzioni che gli utenti possono diffondere, ossia la loro versione dei passi e del lip sync di qualsiasi pezzo, un talent show diffuso dal basso verso l’alto.
Sinceramente, nostra
Nella nuova terra di conquista, dove musica e contenuti digitali si intrecciano e rafforzano a vicenda, si è mossa con sapienza Annalisa, dopo almeno un decennio di tentativi ed errori. Prima di diventare la dispensatrice di hit martellanti che conosciamo oggi, Nali, così la chiama affettuosamente Maria De Filippi quando la videochiama durante il serale di Amici, è stata infatti molte cose diverse. È stata seconda classificata al talent di Canale 5 nel 2011, è stata musa di Kekko Silvestri dei Modà, è stata featuring di tormentoni estivi con Benji e Fede, è stata una Lana del Rey in salsa sanremese con Il mondo prima di te. Poi, è diventata Bellissima: un singolo che è cresciuto in modo esponenziale nel giro di un anno, dal 2022 al 2023, complici anche i trend su TikTok come le irresistibili coreografie da villaggio turistico di Joey Di Stefano, e che sono diventati il biglietto da visita della nuova Annalisa. Capelli lunghi, frangetta, vestiario aggressivo, parigine e latex, tutto rigorosamente nero e D&G, mosse di danza che sono signature, perché come ci insegnano le popstar americane, anche i movimenti sono parte del look – si dice che Britney sia rimasta incastrata in quelle mosse di danza imparate alla fine degli anni Novanta e mai più lasciate.
È come se con le sue ultime canzoni, Annalisa, quella che nel tour coinvolge Gigi D’Alessio per duettare su Mon Amour e Serena Brancale, rapper diventata virale su TikTok, strizzando sapientemente l’occhio all’algoritmo, abbia raggiunto un picco di personalità che fino a questo momento, nonostante la sua innegabile bravura, era poco a fuoco. Perché nella grammatica della popstar, la personalità è tutto ciò che conta. Essere riconoscibili a colpo d’occhio, costruire attorno a sé un immaginario, diventare, appunto, riproducibili fino al punto di poter essere parodiate. Le donne del pop italiano oggi, tutte figlie di un mezzo novecentesco come la televisione, hanno abbracciato la rivoluzione del mezzo di comunicazione contemporaneo, costruendo un personaggio che non può rimanere bidimensionale, solo voce o solo immagine.
Tutto ciò che sta attorno alla canzone, dall’esibizione ai featuring, dagli abiti ai profili Instagram, è parte integrante del nome, che non è più solo una voce ma un vero e proprio concept. Così, anche in Italia, dopo anni di autarchia, resistenza o semplice arretratezza, dipende dai punti di vista, sono sbarcate le popstar, quelle del “respiro internazionale” e della classifica Global su Spotify, quelle che ingaggiano corpi di danza e si fanno vestire dai grandi stilisti, mettendo a fuoco la propria era, lo storytelling, e tutti quegli elementi narrativi ed estetici che costruiscono l’asset di una diva. Che questa mutazione determini un appiattimento dell’offerta, con un inseguimento forsennato della hit virale e la riproposizione algoritmica della stessa identica canzone declinata all’infinito su un paradigma che cambia poco e che svilisce l’artista rendendola una macchina da guerra per lo streaming, è da tenere in conto, tanto quanto l’entusiasmo per il nuovo pop italiano che si divora le classifiche, tenendo alla larga artisti e artiste straniere. Parafrasando Annalisa, c’è una verità sincera e una più poetica, diamo per buone entrambe.
Alice Valeria Oliveri
Giornalista e autrice. Nata a Catania nel 1992, dal 2014 si occupa di televisione, cinema, musica e nuovi media collaborando con diverse testate. Dal 2019 è analista nel programma di Rai3 Tv Talk e dal 2022 è autrice e host del podcast Il decennio breve, prodotto da Hypercast. Collabora con Mediaset Infinity come autrice di format video. Nel 2023 ha pubblicato il suo primo romanzo, Sabato champagne, edito da Solferino e nel 2024 ha pubblicato il saggio Mondovisione per Einaudi.
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