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L’Italia di Mike

In occasione del centenario della nascita di Mike Bongiorno, Palazzo Reale dedica una mostra al conduttore più amato dagli italiani. Alla riscoperta dell’Italia dei telequiz, dei bar, e della leggerezza. Ma non solo.

Raccontò Heinrich Schliemann, l’archeologo semi-improvvisato reso celebre dall’aver scoperto le rovine di Troia, che avrebbe desiderato che quei resti fossero molto più grandi. Era naturalmente felice di quell’impresa che quasi tutti consideravano impossibile, ma aveva sempre immaginato e, forse, anche un po’ sperato, che Troia fosse più estesa e imponente. Si sa che l’immaginazione e i sogni di un bambino sono sempre più grandiosi della realtà. E per questo ci ho ripensato quando ho visto esposta “la ruota della fortuna” nella mostra dedicata a Mike Bongiorno al Palazzo Reale di Milano. Forse per merito dell’inquadratura dall’alto (per una volta che si potrebbe usare “iconica”), ma l’avevo sempre immaginata più grande e larga, con un diametro doppio rispetto all’oggetto che mi trovavo davanti. Ma non fa niente. L’importante è che, come tutti gli altri visitatori, ho avuto anche l’opportunità di girare la ruota (guarda la ruota), anche se mancava il puntatore che ha reso unico e memorabile quel suono, prima velocissimo, poi più lento e ritmato fino a fermarsi, del “programma più longevo della storia della tv”, come viene tuttora reclamizzato nell’edizione condotta da Gerry Scotti.

Cento anni di Mike

Come recita il sito ufficiale: “In occasione del centenario della nascita di Mike Bongiorno, dal 17 settembre al 17 novembre 2024 Palazzo Reale presenta una mostra inedita che ripercorre la vicenda personale e professionale del grande presentatore”. E, ancora meglio, nelle parole del figlio Nicolò: “Questa mostra – con il suo racconto – tenta di costruire una vera e propria memoria collettiva. Un percorso di vita di un uomo “normale” ma davvero straordinario, che ha sempre trovato la misura e la forza per dire “Allegria!” a tutta l’Italia con convinzione e sincerità”.

Mike Bongiorno non ha accompagnato nessuno dei momenti fatali del secolo, eppure ha accompagnato la vita del secondo Novecento incidendo sugli umori, sui pensieri, sulla lingua più di ogni altro collega e forse più di ogni evento cruciale.

Oltre alla ruota, all’interno della mostra ci si può cimentare anche con il quiz del Rischiatutto: entrare in una cabina come quelle dell’epoca, indossare le cuffie, scegliere la categoria e rispondere a una delle domande fatte con l’inconfondibile voce di Mike. Emozionandosi anche un po’ allo squillare del “risposta esattaaa!”. Ma si possono anche ammirare bizzarri memorabilia (per esempio un Batman-Mike), abiti di scena, copioni, pubblicità e, naturalmente, immagini e foto, sigle e momenti tratti da molti altri programmi che Mike ha condotto nel corso della sua carriera, sulla tv pubblica come su quella commerciale. Oppure sedersi nella sala di un bar, ricostruita apposta per l’occasione, identica a quelle in cui, negli anni Cinquanta, andavano a sedersi gli italiani senza televisore a casa (praticamente tutti) per assistere a Lascia o Raddoppia, il primo spettacolo che ha avuto la forza di imporre il nuovo elettrodomestico che, in breve, avrebbe rivoluzionato il secolo. Su un tavolo una copia della Domenica del Corriere, sulle pareti le pubblicità del Punt e Mes e di altre bevande, ma pure un paio di cartelli: uno in cui si invitavano gli ospiti in sala a consumare qualcosa in cambio della “visione” e un altro in cui si avvisavano i clienti che “sono vietate le discussioni politiche”. (Visto che siamo in tema di musei ed esposizioni è un bar che rimanda immediatamente a quello ricostruito in stile anni ‘60 da Wes Anderson per la Fondazione Prada, ma che, a differenza di quello, appare più caloroso). Un’operazione che non ha solo il gusto della nostalgia o del “modellismo”, ma che invece aiuta a immaginare meglio a chi non l’avesse vissuto un passaggio chiave della storia nazionale.

Tra storia e quotidianità

Siamo abituati a credere che la storia proceda per momenti, episodi e date significative – chiudiamo le epoche con le annate fatidiche, e usiamo i decenni per comodità, come se il 1989 dovesse avere davvero più a che fare col 1988 che col 1990 – e pensiamo che attorno agli episodi cruciali si coagulino i cambiamenti. Ma in realtà, nella vita delle persone, nelle società e nel costume, il cambiamento è lento e continuo, meno traumatico eppure costante. La storia si sedimenta giorno dopo giorno, e il cambiamento arriva attraverso le consuetudini quotidiane. Mike Bongiorno non ha accompagnato nessuno dei momenti fatali del secolo, eppure ha accompagnato la vita del secondo Novecento incidendo sugli umori, sui pensieri, sulla lingua più di ogni altro collega e forse più di ogni evento cruciale. Tanto che non si può visitare la mostra di Mike senza notare il sorriso sui volti delle persone che riconoscano e ritrovano chi gli ha fatto compagnia nel tempo, più di tante religioni o ideologie, e riconoscono chi gli ha fatto sentire più familiarità e affetto di amici e parenti.

Siamo abituati a pensare che con la tv le opinioni si spostino attraverso i programmi di informazione, con le interviste ai peones o i panini del telegiornale, mentre le opinioni cambiano molto di più attraverso ciò che con l’informazione non ha direttamente a che fare.

Inoltre, quando Mike Bongiorno, in una puntata qualsiasi del 1990 di Bis (per chi, giustamente, non lo ricordasse: un quiz del mattino di Canale 5), riceve da un paio di ragazzi un pezzo del muro di Berlino, abbattuto solo pochi mesi prima, segna l’opinione comune su quel fatto storico più di tante altre chiacchiere su quello stesso momento storico, perché ha dalla sua la distanza dagli episodi e il calore e la fiducia degli spettatori costruita in decenni. Siamo tuttora abituati (soprattutto i politici e i giornalisti lo credono tuttora) a pensare che con la tv le opinioni si spostino attraverso i programmi di informazione, con le interviste ai peones o i panini del telegiornale, mentre le opinioni cambiano molto di più attraverso ciò che con l’informazione non ha direttamente a che fare. 

Ma tutto questo non perché Mike non abbia incontrato anche la storia nel corso della sua vita. Anzi. Nelle prime stanze della mostra, c’è la ricostruzione della biografia di Mike: l’emigrazione della sua famiglia in America, il ritorno in Italia, la guerra, la guerra partigiana, la prigionia a San Vittore, il rischio di essere fucilato, la liberazione, il ritorno negli Stati Uniti e poi in Italia e le carriere, prima di giornalista e poi con la televisione. Molte cose sono raccontate da documenti e ricostruite per i visitatori, ma alcune sono raccontate da Mike stesso. Un Mike seduto in una bella poltrona, ormai anziano, racconta a favore di telecamera tutta la sua vita. Stralci di questi filmati vengono trasmessi in diversi punti dell’esibizione. E in uno di questi Mike fa qualcosa che, a me, pare significativo del suo carattere e del suo successo. Sta parlando della prigionia a San Vittore, di quando catturato come partigiano e poi rinchiuso in isolamento e torturato rischia più volte di essere messo al muro e fucilato, e lì si interrompe e con un lieve gesto della mano dice qualcosa come: ma perché parlare di queste cose tristi che sono successe, passiamo oltre. Un gesto con cui non vuole dire che non siano successe, né intende sminuirle o ridimensionarle, ma dire che si può andare avanti e costruire su quelle, che conta ciò che si può ancora fare. Non dice “allegria!” che sarebbe troppo, ma quella è stata la sua lezione. Andare avanti, lavorare, non dimenticare senza fossilizzarsi sulla sofferenza, ricostruire, nel Novecento si faceva ancora così. Curiosamente, capita di ripensare a quel discorso e a quel gesto di Mike poco proprio prima di uscire, quando ci possono vedere alcune immagini in anteprima della fiction su Mike che Rai1 manderà presto in onda, proprio della prigionia a San Vittore.


Arnaldo Greco

Nasce a Caserta e vive a Milano, dove lavora per la tv. Ha scritto per Il Venerdì, IL, Rivista Studio, Il Post, Il Mattino.

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