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La nostalgia è un incubo da cui non riusciamo a svegliarci

Il commercio digitale ha trasformato i luoghi del consumo, un tempo simbolo di prosperità, in spazi abbandonati. Una serie di opere audiovisive racconta questa metamorfosi, proiettando il sogno consumista in una dimensione nostalgica e spettrale.

All’interno del Monroeville Mall, il centro commerciale più grande della Pennsylvania occidentale, troneggia il busto del regista George A. Romero, che proprio in questa location girò Dawn of the Dead, uno dei suoi più celebri film sui morti viventi. Lungo una galleria, si possono anche ammirare alcune foto dal set, inserite in una cronologia per immagini che ripercorre la storia della struttura. I riferimenti al film del 1978, distribuito in Italia con il titolo Zombi, continuano in un museo con cimeli e riproduzioni di figure umane con il volto scarnificato e la pelle azzurra. Chissà cosa avrebbe pensato oggi Romero: gli è stato dedicato un monumento commemorativo nello stesso luogo che lui aveva così ferocemente criticato facendo dei suoi spazi una metafora violenta del consumismo e paragonando gli avventori del centro commerciale a creature prive di intelletto. Eppure, il Monroeville esibisce Dawn of the Dead come una medaglia, anzi: utilizza la fama dell’opera per incentivare gli stessi comportamenti che il regista contestava.

D’altronde, si potrebbe dire che il Monroeville non ha motivo di temere i suoi nemici: è già stato sconfitto, anche se non nel modo che avrebbe voluto Romero. Lo dimostra il fatto che, negli ultimi anni, le parole “zombie” e “mall” vengono utilizzate sempre più spesso all’interno di un’espressione che non ha nulla a che fare con Dawn of the Dead. Si definisce zombie mall, o dead mall, o ghost mall, un centro commerciale in rovina o pieno di locali sfitti e frequentato da poche persone. Negli Stati Uniti, gli zombie mall sono ormai tantissimi e la loro decadenza sembra ispirare un’inevitabile senso di nostalgia e di inquietudine: a testimoniarlo è una varietà sempre più ricca di film, serie tv e videogiochi in cui il passato torna come un sogno che ci perseguita, attraverso immagini di rovine e grafiche tremolanti. I “bei tempi andati” sono ancora un rifugio sicuro?

Il sogno abbandonato del mall

Un film come Jasper Mall risulta più attuale di Dawn of the Dead. Nel documentario americano del 2020, i conglomerati di negozi non rappresentano una minaccia, bensì l’elemento che tiene ancora unita una comunità in dissoluzione, sia perché composta in buona parte da membri anziani o malati, sia perché i pochi giovani vi si rifugiano per ottenere un lavoro o evadere dalla realtà. In una scena, un esercente suona la chitarra elettrica: il suono riempie gli spazi vuoti, mentre una famiglia (l’unica nei paraggi) si gira a guardare. Nonostante il decadimento, il grande magazzino ha ragione di esistere per i suoi ultimi frequentatori, che sembrano quelli di un circoletto, e non di una mega struttura. Durante la visione, speriamo che quei negozi restino aperti, che il custode continui a salutare e accogliere tutti, che gli anziani abbiano un tavolo attorno al quale giocare a domino. Da questo punto di vista, Jasper Mall è un’esperienza opposta a quella di Dawn of the Dead, che molti hanno descritto come nostalgica.

Negli Stati Uniti, gli zombie mall sono ormai tantissimi e la loro decadenza sembra ispirare un’inevitabile senso di nostalgia e di inquietudine: a testimoniarlo è una varietà sempre più ricca di film, serie tv e videogiochi in cui il passato torna a perseguitarci attraverso immagini di rovine e grafiche tremolanti.

Quelle immagini ricordano alcune sequenze di Stranger Things. Uno dei set più importanti della terza stagione della serie tv di Netflix è lo Starcourt Mall, ricostruito nel Gwinnett Place Mall, uno dei tanti capannoni in rovina d’America. L’opera che ha sdoganato la nostalgia per gli anni Ottanta a livello mainstream è in realtà continuamente perseguitata da sequenze horror e da un profondo senso di lutto e disperazione esistenziale, che nega le confortevoli atmosfere di alcune produzioni simbolo che hanno caratterizzato la decade dei Goonies e di E.T. l’extra-terrestre. Allo stesso modo, lo Starcourt vive a cavallo tra la descrizione edulcorata dei pomeriggi passati al suo interno da adolescenti con un oceano di tempo libero e una trama fantascientifica che lo vede al centro di una cospirazione mondiale.

Shopping tra i ruderi del passato

Anche il mondo dei videogiochi è infestato di immagini di centri commerciali. Un esempio è Spectral Mall, un Demo Disc di Hunted PS1 caratterizzato da un’estetica piuttosto grezza e limitata (come molte delle demo sperimentali di quegli anni). Oggi, lo stesso stile viene ricercato appositamente dai creatori di videogiochi per evocare una certa nostalgia nei confronti di quelle vecchie rappresentazioni low-fi. In Spectral Mall, il giocatore attraversa un centro commerciale chiuso. Le gallerie sono deserte e in parte sommerse dalla neve. Alcuni negozi sono sbarrati, mentre altri si illuminano a sorpresa, segnalando la possibilità di entrarci. Ciascuno di essi dà accesso a una piccola esperienza interattiva. La scelta del centro commerciale come spazio che interconnette i singoli mini giochi è significativa, per le stesse ragioni che hanno reso Jasper Mall un cult. La struttura, originariamente destinata ad alimentare una spirale di divertimento e consumo, appare adesso priva di qualsiasi effetto inebriante. Spectral Mall riporta in vita il passato nella condizione deteriorata suggerita dallo spazio del centro commerciale e da tutte le cifre stilistiche messe in campo per la sua rappresentazione. 

Non tutti gli esperimenti in vecchio 3D provano a terrorizzare il giocatore, una buona parte però sì. Tra questi, uno degli esempi più interessanti è sicuramente Paratopic, videogioco sperimentale pubblicato nel 2018 da Arbitrary Metric, che offre un’esperienza retro-horror attraverso la simulazione di una passeggiata carica di suggestioni lynchiane e cronenberghiane, immersa in textures stiracchiate e spigoli tremolanti. Sconnesso, enigmatico e disturbante, Paratopic sembra un rudere del nostalgico passato di PlayStation, solo più consapevole delle possibilità espressive del medium. Sottraendosi all’interpretazione, rinuncia all’immediatezza ludica della maggior parte dei videogiochi per PS1. Mentre ci perdiamo tra le possibili interpretazioni e cerchiamo di sopravvivere al tedio di alcune fasi del gioco, riflettiamo sulla perdita “dell’innocenza”, di un approccio immediato ed edonistico ai videogiochi. Così come la relazione con il medium, anche quella con il passato si è complicata: è questa la lezione di Paratopic.

Lost in the Backroom

La nostalgia è anche l’ossessione del web. Uno dei risultati di questa fissazione sono le cosiddette internet aesthetics, a tal punto intrise di nostalgia da sembrare il risultato di un percorso di psicoterapia affrontato collettivamente. Creando e condividendo estetiche nostalgiche, isoliamo dal fiume in piena dei contenuti digitali alcuni esempi rappresentativi dello spirito dei tempi, elaboriamo il passato e mettiamo a punto alcuni strumenti, che anche altri possono utilizzare, per scendere a patti con la memoria personale e collettiva. Esplorando le aesthetics del web, mescolandole nel cocktail che l’algoritmo ci propina seguendo le nostre istruzioni implicite e spesso involontarie, finiamo per acquisire un preciso sguardo sul passato. La vaporwave, l’estetica nostalgica per eccellenza, suggerisce uno sguardo critico, sospeso, incredulo e, come la nuvola di vapore da cui prende il nome, rilassante e rassicurante al tempo stesso. I paesaggi vaporwave sono il luogo ideale per dimenticare il presente e immergersi nei ruderi degli anni Ottanta e Novanta, riprodotti in configurazioni inedite e oniriche. In questi luoghi astratti, le ansie del presente scompaiono in una dimensione fuori dal tempo.

Al contrario, alcune estetiche venute dopo sono, a tratti, simili alla Nostromo, l’astronave di Alien: vuote tranne per una presenza minacciosa che fa vibrare l’aria. Le backrooms, ad esempio, sono un fenomeno estetico di internet che propone rappresentazioni molto più inquietanti degli spazi protagonisti della vaporwave: un labirinto di uffici e spazi liminali, simili a quelli in cui ci perdevamo da bambini quando andavamo a trovare i nostri genitori a lavoro. La foto più rappresentativa di questa estetica mostra alcune stanze vuote, che tuttavia conservano il sentore di un pericolo che ci mette in allerta (“dio ti salvi se senti qualcosa aggirarsi nelle vicinanze”, si legge in quella che potremmo chiamare la descrizione ufficiale, “perché è sicuro come la morte che ti abbia sentito”).

I paesaggi vaporwave sono il luogo ideale per dimenticare il presente e immergersi nei ruderi degli anni Ottanta e Novanta, riprodotti in configurazioni inedite e oniriche. In questi luoghi astratti, le ansie del presente scompaiono in una dimensione fuori dal tempo.

La formula base del reel nostalgico, che mette in sequenza alcune fotografie sgranate e scolorite che riconducono ai ricordi d’infanzia, viene a volte declinata in una maniera che abbraccia toni sinistri: può capitare, ad esempio, che tra le aule di scuola illuminate dal tiepido sole mattutino si affaccino le fotografie di una strada immersa nel buio, di alcune scale così come apparirebbero se ci svegliassimo di notte e andassimo a prendere un bicchiere d’acqua al piano di sotto, di palazzoni di periferia malamente illuminati, di foreste, di ruderi. La cifra stilistica di questi contenuti è la stessa che caratterizza i film horror. Spesso il “mostro” non si vede, a volte invece sì.

La nostalgia su internet è piena di risvolti inquietanti. Sfogliando le vecchie fotografie, potremmo desiderare di rivivere i momenti da bambini in vacanza al mare o da ragazzi esplorando le vetrine del centro commerciale nel tempo libero. Al contrario, osservando il parco giochi in rovina che ci compare nel feed di Instagram proviamo un turbamento meno lineare e  profondo. Vorremmo trovarci lì? Ci sentiremmo al sicuro? C’è davvero un mostro in quel parchetto? La risposta a queste domande non è scontata. Sul grande e piccolo schermo, nelle opere multimediali interattive e online, la nostalgia si è trasformata in un sentimento molto più complesso e ambiguo.


Giuseppe Giordano

Scrive principalmente di film, serie e videogiochi. Collabora con Esquire e Linkiesta, in passato ha pubblicato su Rivista Studio, Valigia Blu, Noisey e La Repubblica e ha lavorato nella redazione di La Presse.

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