Il racconto di quegli anni, e di quelle imprese, dalla viva voce di un protagonista del cinema italiano che si è trovato a fare da mediatore tra i due soci, tra i Cecchi Gori e Berlusconi. Consulente e intermediario tra le parti di un matrimonio di interesse.
Questo articolo è apparso per la prima volta su Mediaset e il cinema italiano - Film, personaggi, avventure.
I quasi due anni di lavoro trascorsi alla Penta Film furono un vero terremoto nella mia vita di cineasta. Li ricordo come un periodo faticoso, bizzarro e anche leggermente doloroso. In quei due anni non ebbi mai la sensazione di aver accettato un incarico adatto a me. Fui molto e spesso infelice.
Allora, come mai ero finito a lavorare in Penta? Non fu certo una mia scelta. Ma quella del mio caro amico Carlo Bernasconi, conosciuto tanti anni prima quando avevo iniziato una gloriosa collaborazione con le televisioni di Silvio Berlusconi, producendo all’esordio la fortunata serie I ragazzi della 3°C, un trionfo assoluto che mi legò al gruppo, e mi lega ancora, in maniera speciale. In Penta però, società bifronte che legava due colossi della produzione cinematografica e televisiva, Cecchi Gori Group e Silvio Berlusconi Communications, le cose non andavano nel migliore dei modi. Le frizioni erano dovute a continue lamentele da parte di Vittorio Cecchi Gori, che si sentiva “proprietario” e avrebbe voluto avere un dialogo diretto e continuo con Silvio Berlusconi, l’altro “proprietario”. Silvio, però, si occupava di mille altre cose e aveva delegato il suo braccio destro Carlo Bernasconi per la gestione della nuova società. Per rimettere un po’ di pace nei rapporti infuocati tra soci, Bernasconi ebbe un’idea: all’interno del gruppo dirigente sarebbe entrata una figura di assoluta fiducia delle due parti. All’epoca, ero un grande amico e collaboratore di Mario e Vittorio Cecchi Gori. Ma allo stesso tempo ero uno degli autori e produttori più vicini al mondo televisivo di Silvio Berlusconi. La scelta, quindi, cadde su di me. Fui convocato in via dell’Anima e Silvio mi pregò, davvero mi pregò, di fare da cuscinetto tra Vittorio e Carlo Bernasconi. Si inventò addirittura una carica: sarei diventato il Consulente Generale della Penta, con ruoli ancora oscuri, ma certo di massimo livello operativo. E i Cecchi Gori, avendo grande stima per me, naturalmente diedero semaforo verde.
Quella notte non chiusi occhio. Mia moglie mi sconsigliava di accettare l’incarico. Diceva, a ragione, “quando sarai lì, tu che fai i film dovrai scegliere e giudicare i film dei tuoi colleghi, una cosa difficile, qualcuno ti amerà se fai produrre i loro film, altri ti odieranno se dirai di no, stai attento, questo non è il tuo lavoro, tu sei un uomo libero, così diventi schiavo di altre logiche”. Aveva ragione, infatti nei due anni successivi questo accadde e mi provocò ansie infinite. Ma la richiesta di aiuto di Berlusconi era stata così accorata e convincente che accettai. La mattina dopo comunicai la decisione a mio fratello Carlo, il quale per poco non mi tolse il saluto. Lo avrei abbandonato? Gli assicurai che, malgrado il nuovo incarico, avremmo continuato a fare i film insieme. Fu così, ma per me fu molto faticoso. Lavoravo dieci ore al giorno per la Penta e sei insieme a Carlo. Fu un inferno.
Cominciai a ricevere mille telefonate da colleghi e amici. Improvvisamente ero diventato la persona più importante del cinema italiano. Quello che, in teoria, doveva scegliere i progetti da produrre. In realtà non era così.
Ricordo il mio arrivo nei grandi uffici in via Aurelia. Stavo al terzo piano, accanto alla stanza del professor Rossini, allora Direttore Generale. Il mio arrivo lo mise in ansia e mi detestò subito. Credeva che mi avessero messo lì per limitare i suoi incarichi. Non era così. Ma lui questo pensò e quasi non mi rivolgeva la parola. Seppi, qualche tempo dopo, che veniva addirittura di nascosto nel mio ufficio a sfogliare la mia agenda e le mie carte. E cominciai a fargli degli scherzi. Per farlo ingelosire ancora di più, scrivevo che avevo appuntamento con Woody Allen, con Richard Gere, tutte cose false, scritte solo per farlo impazzire di invidia. Poi, per fortuna, diventammo amici. Era un uomo simpaticissimo e di grande spessore. La mia assistente era Fabiana Moccia, la figlia del grande sceneggiatore Pipolo e sorella del futuro famoso romanziere e regista Federico Moccia. Eravamo già amici e fu la mia più preziosa collaboratrice. Così come, nel comparto distributivo, avevo due veri e grandissimi amici, Mario Spedaletti e Paolo Pozzi. Gli unici momenti belli in Penta li ho vissuti con loro, parlando di cinema, scegliendo i film, viaggiando tanto in giro per il mondo. Erano due fenomeni: competenti, intelligenti, due fuoriclasse.
Appena insediato in Penta, cominciai a ricevere mille telefonate da colleghi e amici. Improvvisamente ero diventato la persona più importante del cinema italiano. Quello che, in teoria, doveva scegliere i progetti da produrre. In realtà non era così. Vittorio e Mario avevano già decine di progetti in sviluppo e una rete possente di contatti con i migliori registi, sceneggiatori, attori e produttori italiani. Il grosso della produzione lo sceglievano loro. E sceglievano bene. Voglio, però, raccontare, una mia scelta. Della quale vado immensamente fiero. Appena arrivato in Penta mi fu inviata la sceneggiatura del film Mediterraneo, di Gabriele Salvatores. Il film, come i precedenti, lo avrebbe prodotto Gianni Minervini, mio grandissimo amico. Lessi la sceneggiatura e dissi a Vittorio Cecchi Gori che mi era piaciuta molto. Era davvero un film da fare (mai però avrei immaginato che avrebbe addirittura vinto l’Oscar!). Trovai Vittorio molto negativo. Mi disse che il film non voleva farlo. Non capii. Dopo pochi giorni, scoprii che Vittorio aveva raggiunto un accordo con Maurizio Totti, che sarebbe diventato, e infatti poi lo diventò, il nuovo produttore dei film di Salvatores. Quindi il film con Minervini andava cancellato in attesa di nuovi sviluppi. La cosa mi fece impazzire. Avendo accesso al dialogo bifronte, corsi da Bernasconi, perorando la causa di Mediterraneo. Era un film bellissimo, da fare assolutamente. Lui si fidò di me e decise di comprare in anticipo i diritti televisivi del film. Cosa che permise a Minervini di andare avanti e iniziare le riprese. Cosa successe in seguito tra Bernasconi e Vittorio non lo so. Fatto sta che il film fu Penta, ebbe grande successo al botteghino e la notte degli Oscar Vittorio era in sala quando Salvatores ritirò la statuetta. Un altro film di cui vado fiero è Delicatessen di Jeunet e Caro, due strepitosi registi francesi allora all’esordio. Lo vidi al Cannes e lo feci comprare subito dai nostri colleghi. Consiglio a chi non lo ha visto di andare a ripescarlo. È un capolavoro.
Appena arrivato in Penta mi fu inviata la sceneggiatura del film Mediterraneo, di Gabriele Salvatores. […] Lessi la sceneggiatura e dissi a Vittorio Cecchi Gori che mi era piaciuta molto. Era davvero un film da fare (mai però avrei immaginato che avrebbe addirittura vinto l’Oscar!).
Con Mario Cecchi Gori avevo un rapporto meraviglioso. Lui era un po’ scettico su tutta l’operazione Penta. Era un produttore di altri tempi e questa società monstre, che lo aveva catapultato a livello planetario, lo metteva in ansia. Fui proprio io a riceverlo la prima volta che venne a visitare i nuovi uffici in via Aurelia. In silenzio, percorse il lungo corridoio del primo piano, poi del secondo, del terzo, del quarto, e alla fine sentenziò, con forte accento toscano, “Speriamo ’un ci si penta”. Era un mito. Con lui ebbi il piacere di andare a Parigi dove conobbi Luc Besson quando la Penta coprodusse il suo meraviglioso film Nikita. Viaggiavo molto. Spesso andavo a Madrid, a Barcellona e a Parigi, dove incontravo un simpaticissimo uomo di Berlusconi, Angelo Codignoni, che anni dopo passò alla politica in Forza Italia. Aveva un bellissimo ufficio sugli Champs-Élysées. Quando ci vedevamo, parlavamo dei massimi sistemi della comunicazione mondiale. Da lui ho imparato molte cose interessanti. Poi, quando fu fondata la Pentamerica, andai diverse volte a Los Angeles. E lì conobbi Gianni Nunnari, uomo di fiducia, invece, di Vittorio Cecchi Gori. Era giovane, intraprendente, sveltissimo e pieno di conoscenze nel gotha del cinema americano. Avevamo un ufficio strepitoso in un grattacielo a Century City. L’unico dramma è che era un edificio no smoking. Per me che fumavo fu la prima avvisaglia di quello che sarebbe stata la crociata degli americani contro il fumo. Per accendermi una sigaretta dovevo farmi quaranta piani di ascensore, uscire, poi quaranta piani per rientrare. Per fortuna a Hollywood ho conosciuto persone fantastiche. Per esempio Sydney Pollack, appena reduce da La mia Africa, che andammo a incontrare con Vittorio per realizzare il film su Enzo Ferrari. Ahimè, poi non si fece. Grazie a Vittorio entrai anche negli studi della Warner Bros., a stretto contatto con i grandi capi del cinema mondiale. Ma soprattutto ero già amico di due grandi produttori, Mario Kassar e Andy Vajna, quelli di Rambo, Terminator, Basic Instinct. La Penta distribuiva in Italia i loro film e io, a Los Angeles, li vedevo spesso. Alla fine, però, per me in Penta tutto andò a scatafascio. Malgrado la grande amicizia che mi legava, e che mi lega ancora, con Vittorio Cecchi Gori, iniziarono discussioni. Forse non ero felice e diventai spigoloso. Mi sentivo in gabbia. E alla fine, decisi di mollare. Diedi le mie dimissioni. Ci furono urla, scenate. Per fortuna, nel tempo, tutto si è ricomposto. Oggi, a distanza di tanti anni, posso dare un giudizio sereno sulla Penta. Fu una società grandiosa, un sogno straordinario, capace di produrre e distribuire film stupendi. Ma si reggeva sul compromesso. Quale? I soci non erano veri amici e ognuno sospettava dell’altro. I Cecchi Gori probabilmente prendevano qualche vantaggio sui costi di produzione. Quelli di Berlusconi si rifacevano, abbassando un po’ i prezzi di acquisto tv dei film. Forse sbaglio. Comunque la Penta è stata una grande società. Ma pur sempre all’italiana… E io, infatti, tornai a fare la commedia. Mi viene meglio che fare il Consulente Generale.
Enrico Vanzina
Regista, attore, produttore, scrittore, sceneggiatore, assistente alla regia e giornalista italiano. Nel corso di oltre trent'anni ha firmato, insieme al fratello Carlo, alcuni dei più grandi successi al botteghino italiano, come Sapore di mare o Via Montenapoleone e ha realizzato fiction televisive di successo, come I ragazzi della 3°C o Un ciclone in famiglia. Nel 1984 fonda la casa di produzione Video 80 e nel biennio 1990/91 collabora con la Penta Film di Berlusconi e Cecchi Gori come consulente generale e capo della produzione. Ha collaborato per anni con il Corriere della Sera e Il Messaggero.
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