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Immaginari

Il futuro di Neuromante è qui

A quarant’anni dalla sua pubblicazione, Neuromante di William Gibson resta l’opera di riferimento per l’immaginario cyberpunk, un compendio che a decenni di distanza continua a influenzare videogiochi, romanzi e film che vogliono confrontarsi con il genere.

Quaranta anni fa veniva pubblicato negli Stati Uniti Neuromante, l’opera capolavoro con cui William Gibson dette un contributo enorme alla definizione dell’immaginario della fantascienza cyberpunk. Se oggi si cerca “cyberpunk” su Amazon, le opere dello scrittore americano-canadese compaiono insieme a decine di altri risultati: occhiali elettrici futuristici per andare alle feste; maschere per Halloween o da abbinare a un costume da cosplayer; pantaloncini, felpe e t-shirt di un brand di moda che ricrea il look scalcinato di Case, il protagonista di Neuromante, e molto altro. La maggior parte degli oggetti sullo store sono brandizzati Cyberpunk 2077, un videogioco che ha venduto decine di milioni di copie e un anime di Netflix di successo. Rispetto a questi prodotti (ci sono anche lampade al LED, parrucche, stickers), le opere di Gibson se ne stanno in posizione un po’ defilata, come se l’hype fosse tutto per Cyberpunk 2077 (il che è vero) e i libri c’entrassero poco con il mondo del videogioco (e questo è falso).

High tech, low life

Oggi i videogiochi producono una fetta enorme del nostro immaginario collettivo e il franchise di Cyberpunk 2077 rappresenta una delle principali porte d’accesso al terribile futuro descritto in Neuromante. Se si cerca “cyberpunk” su Google Trends si osserva un elevatissimo picco di ricerche nel dicembre 2020, il mese di uscita dell’opera multimediale interattiva. Si è trattato di un punto di non ritorno: da quel momento, l’interesse per il termine è rimasto su livelli sempre superiori a quelli prima dell’impennata. Cosa c’entra Cyberpunk 2077 con Neuromante? La risposta breve è: tutto.

All’inizio di Neuromante, Case è un cowboy del cyberspazio decaduto, che cerca di arrangiarsi nel sottobosco criminale di Chiba, una città (realmente esistente) affacciata sulla baia di Tokyo, con dentro Night City e Ninsei, altre due celebri location immaginarie del libro. Tagliato fuori dall’allucinazione consensuale della matrice, Case viene colto da un desiderio autodistruttivo che lo spinge ad alzare la posta in gioco dei suoi traffici criminali, quasi cercando una fine che non appaia come un suicidio. Una simile tendenza all’autodistruzione ritorna in Cyberpunk 2077, dove la storia inizia con tre diversi punti di vista: il giocatore può scegliere se iniziare l’avventura come un corporativo, cioè un dipendente di una zaibatsu, una multinazionale onnipotente; un esponente del sottobosco criminale urbano, praticamente Case all’inizio di Neuromante; o un nomade, membro di un ceto di ex contadini spiantati che sono sopravvissuti nel deserto con il contrabbando di merce illegale a bordo di auto truccate. Puntualmente qualcosa va storto e V., la (o il) protagonista di Cyberpunk 2077, si ritrova ad annaspare tra la derelitta umanità che le prova tutte per sopravvivere a Night City. Il ricongiungimento delle tre linee di racconto avviene sia per ragioni di economia, sia perché la tradizione del cyberpunk questo prevede: un punto di vista dal basso, lo sguardo di chi ha visto il futuro arrivare ma solo per qualcuno, di solito molto ricco. Gli scrittori cyberpunk lo dicono con 4 parole: high tech, low life.

Neuromante è un’opera omnia che anticipa molti di quei concetti che negli anni hanno contribuito a creare il sottogenere fantascientifico. La prosa di Gibson, oltre che di dettagli, è sovraccarica di idee inesplorate che potrebbero diventare spin-off per altre sottotrame.

I punti di contatto tra Cyberpunk 2077 e Neuromante sono innumerevoli. Ci sono le intelligenze artificiali che sono sfuggite al controllo dell’uomo, ci sono gang criminali la cui estetica unisce tecnologia e cultura underground, c’è una “prigione delle anime” o, come scrive Gibson, dei “costrutti”. In Cyberpunk 2077 uno dei personaggi principali è interpretato da Keanu Reeves (il Neo di Matrix), che veste i panni di un rocker mitomane e anarchico, omaggio alle origini musicali del genere letterario. Si potrebbe continuare a lungo, fino a dimostrare che quasi ogni idea presente nel videogioco trova un corrispettivo tra le pagine di Neuromante, che diventa un compendio, un’opera omnia, un inventario (collocato a monte e non a valle) di molti di quei concetti che il sottogenere fantascientifico avrebbe poi approfondito negli anni successivi, fino al colossale open world di CD Projekt che ha fatto fare l’ennesimo salto nel mainstream a questa sci-fi di monitor a tubo catodico, prospettive di immortalità e immondizia.

Il futuro sovraccarico

Con il romanzo del 1984, Gibson ha raccolto una serie di idee (originali e non originali) e le ha portate alle estreme conseguenze, secondo una pratica che Bruce Sterling, il teorico del cyberpunk, attribuisce alla sensibilità del Movimento. “Le opere cyberpunk sono contraddistinte da un’intensità visionaria”, scrive nella prefazione alla raccolta di racconti Mirrorshades, contenuta nell’antologia assoluta del cyberpunk pubblicata da Mondadori. Questi scrittori “sono disposti a prendere un’idea e spingerla oltre i limiti senza battere ciglio, ne sono persino desiderosi”. Ancora Sterling identifica come una delle cifre del gruppo la crammed prose (prosa sovraccarica). Quella di Gibson, oltre che di concetti e dettagli, è sovraccarica di idee che spesso restano inesplorate: diventano finestre su panorami che possiamo osservare solo dall’alto e nelle pause del racconto, per una durata che va dall’inciso ad alcune pagine.

La tossina che ha bruciato il cervello di Case e il braccio bionico di un barista di Chiba ci vengono descritti come residuati bellici. Più tardi leggeremo qualcosa di più approfondito sulla guerra che ha generato i software utilizzati dagli “uomini da tastiera” per mettere a segno le loro intrusioni, ma solo perché c’entra con la storia delle origini di uno dei personaggi, Armitage. Cosa succede nelle arcologie che si intravedono oltre il porto, a Tokyo? Come è successo che le cure mediche siano diventate brevetti e i brevetti l’arma contro la concorrenza in una sanità completamente privatizzata? Cos’altro potremmo sapere sulle sottoculture dai cicli di vita rapidissimi che abitano il continuum urbano dello Sprawl? Come funziona l’allevamento dei sicari ninja nelle vasche di coltura? La risposta a una sola di queste domande, nel cinema e nella televisione, sarebbe materiale da spin-off. Al contrario, Gibson offre uno sfondo naturalmente animato, su cui traccia il percorso dei suoi personaggi che, inevitabilmente, si imbattono in sottotrame autonome, esistenti a prescindere dal nostro interesse.

Nel suo manifesto del post cyberpunk, Lawrence Person utilizza l’esempio dell’automobile per descrivere tre ordini di fantascienza: nella narrativa d’avventura, l’uomo inventa l’automobile e la usa per inseguire il cattivo; nella narrativa di problemi sociali, l’uomo inventa l’automobile e qualche anno dopo si crea un ingorgo. Nel terzo tipo di narrativa, l’uomo inventa l’automobile e un altro uomo inventa il cinema: dopo alcuni anni, la gente va al cinema al drive-in. Il cyberpunk si colloca in quest’ultima categoria: la narrativa del tessuto sociale, dove molteplici invenzioni emergono simultaneamente, a differenza della fantascienza tradizionale che introduce una singola tecnologia rivoluzionaria per volta. Questo ci riporta alla questione precedente: è possibile che il numero di idee contenute in Neuromante, insieme alla loro portata, cioè al fatto che siano state spinte alle estreme conseguenze nel giro di alcune pagine, abbia bruciato lo spazio di manovra a tutti quelli che sono venuti dopo? Secondo Michael Swanwick, almeno nelle fasi iniziali, sì. L’autore di fantasy e di fantascienza, infatti, propose il termine neuromantics per gli scrittori del movimento cyberpunk, dal momento che “gran parte di ciò che stavano facendo era chiaramente un’imitazione di Neuromante“.

In realtà sarebbe ingiusto trascurare altri contributi significativi. L’estetica del sottogenere risale soprattutto a Blade Runner, e questo lo si nota dopo un confronto tra il manga di Akira (serializzato a partire dal 1982) e l’anime. Sulla pagina, Akira sembra un post-apocalittico, anche se la disumana quantità di dettagli che Katsuhiro Otomo infila anche nelle vignette più marginali potrebbe far pensare a un corrispettivo della prosa sovraccarica di Sterling. I neon e gli ologrammi compariranno nel 1988, anno di uscita del film di animazione, ad esempio nella celebre scena delle motociclette, che rivela angolazioni di Neo Tokyo diverse rispetto al fumetto. A questo punto, Otomo sembra aver risentito dello stile retrofuturistico (il neon era una cosa degli anni Quaranta, del noir) del set di Ridley Scott (1982). Del cyberpunk giapponese vanno ricordate quantomeno altre due opere. La prima è Tetsuo, lungometraggio del 1989 di Shinya Tsukamoto, che omaggia Otomo nel titolo e nei contenuti, insistendo sulle “cose terribili” che “stanno iniziando ad accadere” nella “carne di un ordinario lavoratore dipendente”. C’è poi Ghost in the Shell, un manga e un anime dallo stile visivo così sontuoso, che potreste tranquillamente averlo visto per intero su Tumblr, il social delle aesthetics, spezzettato in un gran numero di gif. L’inquadratura in cui il profilo della protagonista Motoko Kusanagi interseca in controluce il riquadro di un finestrone che affaccia su alcuni grattacieli è stata citata innumerevoli volte.

Negli ultimi anni sono stati pubblicati sempre più videogiochi cyberpunk: dai 31 del 1996 passiamo ai 64 del 2020 e del 2023. Il cyberpunk si è addirittura affacciato su TikTok con diversi trend, e questo soprattutto per Cyberpunk 2077, che ha verosimilmente aperto nuovi orizzonti a un nuovo pubblico.

Sul fronte letterario, Neuromante è stato seguito dalla già citata antologia Mirrorshades, che ha ufficialmente presentato al pubblico gli scrittori del Movimento, mentre Snow Crash, romanzo del 1992 di Neal Stephenson, è stato, a dire di Sterling, un punto di non ritorno. Scrive il teorico nella prefazione a Cyberpunk Antologia Assoluta: “Snow Crash fu la prima opera di un autore che capiva appieno cosa fosse il cyberpunk ed era in grado di riassumerlo e superarlo”, con “l’inizio di una forma di fantascienza americana molto più vicina a una cyber-cultura genuina”. Il game designer, “un poeta del calcolo che sceglie di scrivere con la stilografica”, sarebbe stato capace di rendere oggetto di satira “un’industria informatica solida e dotata di una base di utenti massificata”, che all’epoca non sarebbe stata difficile da immaginare. Il termine metaverso e la descrizione di una fantasia escapista resa possibile da un corrispettivo digitale chiamato avatar vengono entrambi da qui.

Cybermeme

Quello che qui ci interessa fare è tirare le conclusioni sugli ultimi tre o quattro anni, quando il sottogenere sembra aver avuto un revival. Oltre al grafico di Google Trends, si potrebbe guardare al numero di videogiochi che il database delle opere interattive MobyGames raccoglie sotto l’etichetta cyberpunk/dark sci-fi: dalle 31 del 1996 passiamo alle 21 del 2006, quindi alle 64 del 2020 e del 2023.

Il cyberpunk si è addirittura affacciato su TikTok con diversi trend, e questo soprattutto per Cyberpunk 2077, che quindi ha verosimilmente aperto nuovi orizzonti a un pubblico che non aveva familiarizzato con le distopie del Movimento. Menzione speciale anche per Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve, sequel del 2017 del film di Scott, opera presentissima nel memedom: sia grazie a Ryan Gosling (su internet alcuni dei suoi personaggi sono diventati la personificazione della depressione maschile) e Ana De Armas (la fantasmatica fidanzata di internet), sia per alcune scene iconiche, ri-significate, ri-combinate e parodiate dagli utenti della rete. Nella classifica di popolarità di IMDB, Blade Runner 2049 è puntualmente sopra il predecessore, mentre l’hashtag di TikTok #bladerunner2049 contiene un numero maggiore di post rispetto all’hashtag #bladerunner, nonostante il secondo potrebbe andare bene per entrambi i film. È chiaro che quelli descritti qui sopra sono approcci superficiali a una materia complessa, ma il marketing del cinema e quello letterario hanno già imparato l’importanza di meme e trend per avvicinare il pubblico e invitarlo ad approfondire le opere. E in effetti TV Time, un social network per cinefili, dimostra che Deckard arranca dietro Officer K per numero di visioni tra gli utenti registrati.Cyberpunk 2077 si potrebbe considerare, e non è un giudizio di merito, quasi alla stregua di un adattamento da Neuromante (a tal proposito, leggerete che il videogioco è basato su un gioco da tavola, a sua volta ispirato alle opere di Gibson, Sterling e soci, ma questo soprattutto per il sistema di regole che sorregge il gameplay). L’impressione è che di recente siano cambiati i punti di accesso, mentre la sostanza dell’immaginario cyberpunk sia rimasta la stessa dell’opera più famosa di William Gibson: un compendio dalla portata enorme, un libro che, inventando un genere, ha rischiato allo stesso tempo di ammazzarlo. A 40 anni dall’uscita di Neuromante, il cyberpunk ha toccato un apice nel mainstream, eppure non sembra esserci molto di nuovo sotto quel cielo di shuriken cromate.


Giuseppe Giordano

Scrive principalmente di film, serie e videogiochi. Collabora con Esquire e Linkiesta, in passato ha pubblicato su Rivista Studio, Valigia Blu, Noisey e La Repubblica e ha lavorato nella redazione di La Presse.

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