immagine di copertina per articolo Perché l’archivio è il futuro dei documentari

Perché l’archivio è il futuro dei documentari

Tre film recenti mostrano bene come il materiale cinematografico dimenticato e polveroso possa trovare nuova vita, e aiutarci a leggere e rileggere la storia. Senza pretesa di fedeltà.

Negli ultimi mesi, sono stati distribuiti tra grande e piccolo schermo tre documentari storici che, se non preannunciano una nuova golden age per il genere, sono però sicuramente una prima picconata a un filone d’oro ricco di potenzialità: usare nuove tecnologie di restauro e colorazione dei filmati per fare film mozzafiato a partire da polverose immagini d’archivio di cui manco ci si ricordava più l’esistenza. I tre film sono They Shall Not Grow Old di Peter Jackson (sì, quel Peter Jackson), The Cold Blue di Erik Nelson e Apollo 11 di Todd Douglas Miller. Mentre i primi due film raccontano storie riguardanti rispettivamente la prima e la seconda guerra mondiale, il lavoro di Miller è un resoconto dell’epopea spaziale dell’Apollo 11, la missione NASA che ha portato l’uomo sulla luna. 

Tutti e tre i documentari sono basati principalmente sull’uso creativo dell’archivio cinematografico, che ne costituisce il tessuto principale. Non ci sono voci fuoricampo né esperti del settore: gli unici a parlare sono i protagonisti diretti delle vicende raccontate. In They Shall Not Grow Old, Peter Jackson ci immerge nella vita quotidiana dei soldati britannici in trincea sul fronte occidentale nella prima guerra mondiale. Lo fa grazie alle testimonianze audio di 120 reduci provenienti dall’archivio dell’Imperial War Museum di Londra, che, insieme al comitato 14-18 NoW, ha commissionato il film. The Cold Blue, prodotto da Hbo, schizza invece gli spettatori nei cieli glaciali (“gli aerei non erano pressurizzati né climatizzati e a 25 mila piedi era come stare sulla cima dell’Everest”) che durante la seconda guerra mondiale erano il teatro delle incursioni aeree dei B-17 Flying Fortress, i bombardieri dell’esercito americano utilizzati per piegare la resistenza tedesca. Le interviste a nove superstiti delle missioni dell’Eight Air Force, realizzate nel 2017, accompagnano le spettacolari immagini d’archivio, restaurate per l’occasione ma girate nel 1943 dalla leggenda di Hollywood William Wyler, il regista di Ben Hur, per il suo documentario di propaganda bellica The Memphis Belle. Apollo 11 è per certi versi ancora più radicale, poiché non presenta interviste ex post ai protagonisti delle vicende narrate. L’allunaggio è messo in scena solo attraverso immagini d’archivio, contestualizzate grazie a didascalie e riferimenti temporali, mentre l’unico commento audio aggiunto a posteriori è la martellante musica elettronica di Matt Morton.

Colorazioni a parte, utilizzare immagini d’archivio vecchie per fare film nuovi è un metodo utilizzato da moltissimi documentari di altissimo profilo. They Shall Not Grow Old, The Cold Blue e Apollo 11 spostano però verso l’alto l’asticella delle possibilità narrative del genere, indicando una pista luminosa che altri documentari in futuro potranno seguire.

È ovvio che questi non sono i primi tre documentari a fare un uso narrativamente creativo delle immagini d’archivio o a colorarle e restaurarle. Colorare filmati originariamente in bianco e nero per renderli più appetibili per il pubblico contemporaneo è una strategia rodata. Per citare alcuni esempi, già nel 2003, FremantleMedia distribuiva World War 1 in Colour, una serie televisiva documentaristica sulla prima guerra mondiale narrata da Kenneth Branagh e costituita principalmente da immagini d’archivio ricolorate; cinque anni dopo, Channel 5 svolgeva un’analoga operazione con World War 2 in Colour. Ma c’è da dire che, al confronto di They Shall Not Grow Old, questi vecchi esperimenti sembrano le comiche di Stanlio & Ollio colorate in modo rabberciato negli anni Ottanta.

Colorazioni a parte, utilizzare immagini d’archivio vecchie per fare film nuovi è un metodo utilizzato da moltissimi documentari di altissimo profilo. Da I Am Not Your Negro, il capolavoro del 2016 che esplora la storia del razzismo negli Stati Uniti attraverso gli scritti di James Baldwin, al monumentale taglia&cuci archivistico di Adam Curtis passando per Senna, LA 92 e The Atomic Cafe, di documentari realizzati solo con immagini d’archivio ce ne sono stati a bizzeffe. They Shall Not Grow Old, The Cold Blue e Apollo 11 spostano però verso l’alto l’asticella delle possibilità narrative del genere, indicando una pista luminosa che altri documentari in futuro potranno seguire. I tre film sono poi molto simili anche dal punto di vista tematico, tanto che possono essere visti come una sorta di informale “Trilogia dell’Archivio”.

Alla ricerca dell’archivio perduto

“Se non ci fossero state immagini [dell’allunaggio], sarebbe stato come se l’evento non fosse nemmeno accaduto”, ha scritto il documentarista francese William Karel. La NASA lo sapeva bene e la missione dell’Apollo 11 era stata all’epoca ampiamente documentata. Di molti filmati si era però persa traccia. Quando il regista Todd Douglas Miller inizia a lavorare su Apollo 11, scopre che negli archivi del NARA (il National Archives and Records Administration) ci sono una serie di pizze di pellicola che stanno lì a prendere polvere, dimenticate da tutti. Dentro, il regista trova filmati inediti che raccontano lo sbarco sulla Luna aldilà della pompa ufficiale: c’è Armstrong nervoso prima di entrare nella navicella, c’è il razzo portato in rampa di lancio e ci sono le centinaia di spettatori, turisti della storia, accampati nei dintorni di Cape Canaveral per assistere alla partenza. 

immagine articolo
Apollo 11

Come ricordato da David Kamp in un articolo per Vanity Fair, i filmati rinvenuti da Miller erano stati girati in Todd-AO, un formato cinematografico panoramico ad alta definizione di solito utilizzato per film ad alto budget tipo Tutti insieme appassionatamente. La NASA voleva fare le cose in grande. L’agenzia spaziale americana era così consapevole dell’importanza di avere immagini a effetto – da mandare in onda su quei televisori a colori che a partire dalla metà degli anni Sessanta cominciano ad invadere le case degli americani – che chiede a uno dei suoi ingegneri, un certo Wilson Markle, di inventarsi un modo convincente di colorizzare le immagini in bianco e nero delle missioni Apollo. Nel 1970, Markle si inventa allora la colorizzazione digitale e in breve, fiutando l’opportunità commerciale, fonda un’azienda per colorizzare i film in bianco e nero. Ironia della sorte, negli anni Ottanta il produttore Hal Roach acquisirà il 50% dell’azienda di Markle per mettersi a ricolorizzare alla buona tutti i film su cui riesce a mettere le mani, incluse le comiche dei cavalli più pregiati della sua scuderia, Stanlio & Ollio.

Per colorizzare le immagini d’archivio di They Shall Not Grow Old, Peter Jackson ha invece usato un approccio certosino. Tanto per cominciare, come il regista del Signore degli Anelli spiega in un video della Bbc, lui e il suo team hanno dovuto uniformare il frame rate dei filmati, che all’epoca variava a seconda della velocità con cui l’operatore girava la manovella della cinepresa. Poi si sono procurati uniformi e altri accessori dell’epoca, per cercare di colorare i filmati nel modo più storicamente accurato possibile. Le immagini che si vedono in The Cold Blue erano invece già a colori. Per filmare i bombardamenti in alta quota, quel pazzo di Wyler aveva montato le cineprese sull’aereo suo e di altri tre operatori (di cui uno morto in battaglia). “Abbiamo trasformato filmati vecchi di 100 anni per vedere la Grande Guerra come la videro i soldati che la combatterono”, ha dichiarato Peter Jackson. Ma il discorso si applica a tutti e tre i documentari: è la sensazione, grazie al recupero di filmati dimenticati nel fondo di archivi perduti, di assistere alla storia in tempo reale, come se si svolgesse davanti ai nostri, increduli occhi.

Gli eroi son tutti giovani e belli

In una scena di Apollo 11, si vede un Sony TC-50, una sorta di walkman ante litteram, roteare nell’assenza di gravità della navicella spaziale gracchiando Mother Country, una canzone di John Stewart. Il pezzo racconta di una signora vissuta nei “good old days” che, ricordando con nostalgia i bei tempi andati, dice che all’epoca, in giro, c’erano “just a lot of people doing the best they could”. Solo tanta gente che dava il massimo. “You’ve seen them, the little boys… boys, hell, they were men”, le fa eco John Stewart. Erano solo ragazzini ma si dovevano comportare da uomini. È il leitmotiv che percorre la Trilogia dell’Archivio. Tutti e tre i documentari parlano di giovani eroi maschi che vanno entusiasticamente in missione per il proprio Paese. Missioni di guerra nei primi due casi e missione spaziale nel caso dell’Apollo 11, anche se in fondo la corsa allo spazio può essere interpretata come guerra sublimata, i razzi spaziali come prosecuzione della guerra con altri mezzi, meno distruttivi. In altre parole, la Guerra Fredda.

In They Shall Not Grow Old, a fare la guerra ci vanno i ragazzini. Nelle fila dell’esercito britannico durante la prima guerra mondiale c’erano circa 250.000 soldati minorenni tra cui svariati quattordicenni (in quel conflitto, il record assoluto spetta comunque al serbo Momčilo Gavrić, caporale all’età di 8 anni). Pure l’equipaggio del Memphis Belle era giovanissimo. Il capitano aveva 25 anni, il marconista 23, mentre il bombardiere – dal cui lavoro, stando al manuale di addestramento dei B-17, dipendeva “il successo o fallimento della missione” – di anni ne aveva appena 22. “Quando stai volando, tutto ciò che è terra sembra un giocattolo”, dice un membro dell’equipaggio in The Cold Blue. Ma ovviamente la guerra non è un gioco. Morti e distruzione sono reali. E The Cold Blue non si tira indietro, mostrandoci la Berlino in rovina dell’estate 1945. È uno dei pochi momenti in cui si vedono donne. Si aggirano tra le macerie della capitale tedesca, devastata dalle quasi 70 mila tonnellate di TNT sganciate dagli alleati in cinque anni di conflitto. Un’altra delle poche scene della Trilogia a non essere dominata dai maschi è quella che mostra la folla sopraggiunta a Cape Canaveral per assistere al lancio dell’Apollo 11. Uomini e donne assiepano spiagge e parcheggi, muniti di tende e occhiali da sole deliziosamente anni Sessanta, in una sorta di Woodstock borghese (la “tre giorni di pace e musica rock” si svolgerà esattamente un mese dopo il lancio del razzo). Si vedono molti giovani americani, figli del dopoguerra, che stanno crescendo in quell’epoca carica di tensioni e contraddizioni: la filosofia hippie e la Guerra Fredda, la nonviolenza di Martin Luther King e l’offensiva del Tet, il tempo di pace che sembra non arrivare mai.

immagine articolo
The Cold Blue

La corsa allo spazio raccontata in Apollo 11 è il superamento della logica distruttrice delle guerre mondiali vista all’opera in They Shall Not Grow Old e The Cold Blue. Come recita un po’ retoricamente la targa depositata da Armstrong & Co. sulla superficie lunare: “Siamo venuti in pace per tutta l’umanità”. La Trilogia dell’Archivio è quindi una sorta di crash course per immagini nel secolo breve occidentale, una storia fatta soprattutto di applicazioni devastanti della tecnologia militare (il primo razzo mai lanciato nello spazio fu un V2 nazista nel 1944, e sempre su un V2 gli americani spedirono nello spazio i primi animali, dei moscerini da frutta, nel 1947), documentate in modo sempre più accurato grazie allo sviluppo di un’altra tecnologia (e arte), il cinema.

Le verità dell’archivio

What ever happened to those faces in the old photographs?”, si chiede John Stewart in Mother Country. La Trilogia dell’Archivio prova a rispondere alla domanda mostrando come, dietro a filmati spesso relegati in documentari storici da seconda serata, ci siano ancora quelle facce, pronte a raccontare le storie di cui sono state protagoniste. Questa mancanza di filtri (per esempio, l’assenza di un narratore) fa sì che nei tre documentari non ci siano mai discorsi troppo astratti o che riguardino le dinamiche generali delle vicende. Ciò che va in scena è sempre basato sull’immediatezza, sul “qui e ora”. 

Allo stesso tempo, il cinema è manipolazione, sempre, anche quando è costituito soltanto da immagini “vere”. In Apollo 11, per esempio, Douglas Miller ha modificato l’ordine di alcuni avvenimenti per rendere la storia narrativamente più avvincente. E lo stesso Peter Jackson ha dichiarato che il suo “non è un film storico” e potrebbe persino “non essere interamente accurato”. Quanto a The Cold Blue, il materiale originario proviene da un film di propaganda bellica, forma di manipolazione per eccellenza. Il punto non è quindi che le immagini d’archivio possano restituirci una sorta di monolitica “verità storica”, ma piuttosto che, una volta tirate a lucido, possono essere usate per esplorare la storia in modo più immediato, aiutando gli spettatori a immedesimarsi nei protagonisti delle vicende narrate. Altro che realtà virtuale, nel futuro della narrativa immersiva ci sono soprattutto polverose immagini d’archivio.


Davide Banis

Lavora per una casa editrice danese. Nel tempo libero, scrive.

Vedi tutti gli articoli di Davide Banis

Restiamo in contatto!

Iscriviti alla newsletter di Link per restare aggiornato sulle nostre pubblicazioni e per ricevere contenuti esclusivi.