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Gli anni delle piattaforme

Esce il nuovo Link. E fa il punto sugli anni delle piattaforme. Su un sistema dei media audiovisivi che ancora una volta è cambiato in profondità. Da Netflix a TikTok e all’AI.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 29 - Mediamorfosi 3. Gli anni delle piattaforme del 10 ottobre 2023

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L’ultimo Mediamorfosi risale al dicembre 2017. Da allora, tra la crisi pandemica e gli avanzamenti eccezionalmente rapidi della digitalizzazione, il panorama dei media è cambiato un’altra volta. Un nuovo capitolo si è imposto come doveroso. Nel 2017, il lavoro per analizzare il presente è stato soprattutto di carattere storico, con l’intento di capire da dove venisse il nuovo e come rimediasse, a suo modo, il passato. Oggi tentiamo invece un passo ulteriore: leggere il funzionamento del nuovo ecosistema digitale, e con esso il tempo in cui viviamo, nel modo più intimo possibile.

Queste sono alcune delle domande da cui siamo partiti: come cambiano l’informazione, le narrazioni e l’intrattenimento in un’industria composta prevalentemente da grandi piattaforme? Quali margini per la creatività restano se tutto diventa content, un frammento di contenuto da gettare nelle library di Netflix e Spotify, nel flusso indistinto di Instagram e TikTok? Quali sfide e opportunità nascono dall’intelligenza artificiale applicata a testi e immagini o dagli spazi immersivi che danno forma al metaverso? E ancora: la televisione cede o riprende centralità nell’esplosione dell’audiovisivo online? I podcast funzionano? Cosa è rimasto del mondo crypto?

“La piattaforma accresce enormemente quella che si può chiamare una ‘sorveglianza commerciale’ della vita culturale, che comprende i dettagli più intimi e le connessioni tra le persone”

Al fondo di tutto, poi, c’è qualcosa di ulteriore: come funziona la piattaforma? Cosa vuole? Questi sono stati indubitabilmente gli anni delle piattaforme – che siano pensate per l’intrattenimento, il commercio di cose, per i servizi – e ne siamo a tal punto immersi che nemmeno ce ne accorgiamo più. Tutto è letto attraverso la loro logica di funzionamento e trasformato a loro misura. Per usare una brutta parola: è la piattaformizzazione della vita. Cito un passaggio dell’intervista a Thomas Poell pubblicata in questo numero: “L’introduzione di piattaforme in determinati settori porta in primo luogo alla datificazione, alla metrificazione dell’attività culturale, delle connessioni tra le persone, dei contenuti condivisi e dei servizi. La piattaforma accresce enormemente quella che si può chiamare una ‘sorveglianza commerciale’ della vita culturale, che comprende i dettagli più intimi e le connessioni tra le persone”. I dati sono il cuore di tutto, la misura del valore di ogni cosa.

Una caratteristica affascinante delle piattaforme è la loro pulsione di crescita continua, una fame insaziabile che le spinge a occupare sempre più spazio. Sono organismi per natura globali, titanici, intrinsecamente monopolisti. È una lezione che il mondo dell’audiovisivo, e non solo, ha imparato da soggetti nati in rete, come Google, Amazon, Meta e, in misura minore, Netflix. Una lezione che ha spinto, per sopravvivere, i vecchi dominatori novecenteschi a una trasformazione radicale per mezzo di un processo di fusioni di portata mai vista con lo scopo di ottenere la massa critica necessaria a diventare essi stessi, a loro volta, piattaforme. Tutte le fusioni avvenute negli ultimi anni vanno in questa direzione: Disney-Abc-Lucas-Marvel-Pixar-20th Century Fox, Warner Bros.-Turner-Hbo-Discovery-Eurosport, Viacom-Cbs- Paramount, Comcast-Nbc-Universal-Sky. Ma il diktat della crescita porta in sé anche una inevitabile pulsione di morte: cosa succede se il mondo è dominato solo da grandi predatori? Quanti ne possono sopravvivere? E cosa succede ai soggetti più piccoli, locali, nazionali? Negli anni delle piattaforme, anche le stesse piattaforme hanno subito una metamorfosi, e per alcune il modello della crescita continua ha cominciato a mostrare i suoi limiti. Netflix ha smesso di crescere proprio nell’anno in cui ha investito di più nei contenuti (2022). La strada seguita dall’azienda di Los Gatos poteva essere riassunta in questa semplice  formula: produrre sempre più nuovi contenuti per aumentare il più possibile gli abbonati, solo parametro valutato dal mercato finanziario per definire il valore dell’azienda. E quando gli abbonati hanno smesso di crescere? Ecco allora la pubblicità, la stretta agli account condivisi, la maggiore cautela negli investimenti in produzione. Dalla finanza all’industria. L’era della peak tv e della sovrapproduzione di contenuto non è chiusa per sempre, le tante nuove piattaforme porteranno ancora a un ulteriore aumento dei contenuti prodotti, ma il modello di crescita sembra minato alle fondamenta e bisognoso di aggiustamenti dal carattere novecentesco.

Quello che ci troviamo davanti – tra piattaforme e intelligenza artificiale – non è un mostro, ma di sicuro è un nuovo tipo di organismo privo di freni e confini che non siano quelli dei suoi più diretti appetiti economici.

Quale emblema della stagione della peak tv, e suo asintoto, abbiamo scelto di raccontare in profondità la storia produttiva de Gli anelli del potere, la serie di Amazon Prime Video la cui prima stagione si calcola sia costata 465 milioni di dollari (58 milioni a episodio!): più dei tre film della saga di Peter  Jackson messi insieme, costati (al valore attuale) 436 milioni di dollari. Un’operazione folle, insensata, dalla quale è impossibile qualsiasi tipo di rientro se letta con le lenti di Hollywood. Un’operazione di immagine e di posizionamento plausibile se vista con la prospettiva della più grande e polivalente piattaforma in circolazione (il cui business, com’è ben noto, non è certo quello dell’audiovisivo).

Ma non c’è solo il contenuto tv. Abbiamo indagato l’impatto che la struttura tecnologica ed economica delle piattaforme ha sulla produzione di contenuto social, avviando un dibattito sulle qualità estetiche del content a partire dalla domanda: ma davvero internet, i social e le piattaforme hanno cambiato tutto, nel linguaggio e nella creatività audiovisiva? Per alcune voci si tratta di vera discontinuità, per altri solo di un’illusione che cela la prosecuzione della tv con altri mezzi.

Anche l’intelligenza artificiale ha un impatto, ancora non del tutto comprensibile, sulla produzione culturale. Questo numero di Link, per esempio, è stato illustrato con Midjourney. Per essere più precisi, ci abbiamo provato, variando i prompt e gli stili richiesti fino a doverci arrendere alla medietà priva di veri lampi creativi delle immagini generate. Così il progetto è variato in corso d’opera, con l’aggiunta di un intervento umano a partire dalle illustrazioni realizzate dall’intelligenza artificiale, una forma di featuring tra macchina e uomo che vale da esperimento collaborativo. Difficile pensare oggi che i large language model, che non usano l’inferenza o l’intuizione ma la correlazione statistica, possano creare qualcosa di davvero originalmente creativo. Abbiamo intervistato il filosofo Luciano Floridi, che pone la questione dell’intelligenza dell’IA in una luce interessante: “per la prima volta nella storia dell’umanità, abbiamo una tecnologia che è in grado di fare bene o meglio di noi, a intelligenza zero, ciò che facciamo noi. Quella è la vera rivoluzione, la rivoluzione nella capacità di agire, non nella capacità di comprendere: agere sine intelligere. È azione a intelligenza zero. I problemi seri vengono da lì”.

Oltre a Floridi e a Poell, questo numero ospita altre due interviste a importanti studiosi di media  internazionali: David Bolter ed Eli Noam. Il primo riorienta il nostro sguardo per capire la complessità del panorama culturale di oggi usando come cornice la plenitudine digitale, un’idea di universo priva di un centro dove le élite sono definitivamente tramontate. Il secondo, invece, ci porta al cuore della logica di funzionamento delle piattaforme, tra elementi tecnologici, di business e normativi. Quello che ci troviamo davanti – tra piattaforme e intelligenza artificiale – non è un mostro, ma di sicuro è un nuovo tipo di organismo privo di freni e confini che non siano quelli dei suoi più diretti appetiti economici: il suo impatto sulla società ha molti aspetti positivi che sarebbe miope non riconoscere, ma se lasciato solo a se stesso,  privo di norme e di vincoli, legati alla concorrenza leale e al rispetto della privacy, per dirne due, potrebbe avere dei costi troppo grossi da sostenere per la libertà e per il rispetto della dignità umana. Il primo passo è conoscere, inserendo gli aspetti più noti e discussi nel sistema mediale e culturale più ampio: per capire cos’è successo davvero, e intuire che forma prenderanno le prossime mediamorfosi. Buona lettura.


Fabio Guarnaccia

Direttore di Link. Idee per la televisione, Strategic Marketing Manager di RTI e condirettore della collana "SuperTele", pubblicata da minimum fax. Ha pubblicato racconti su riviste, oltre a diversi saggi su tv, cinema e fumetto. Ha scritto tre romanzi, Più leggero dell’aria (2010), Una specie di paradiso (2015) e Mentre tutto cambia (2021). Fa parte del comitato scientifico del corso Creare storie di Anica Academy.

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