Perché ogni anno orde di professionisti tv vanno a Cannes? E quanto conta un bel promo per vendere l’idea di un nuovo programma a reti di tutto il mondo?
-Hai visto qualcosa di interessante?
-Sempre le solite cose…
-Pensi di prendere qualche format?
-Non so proprio perché continuiamo a venirci, a questi mercati.
Non so quante volte a Cannes avrò fatto questa conversazione. Ogni anno è la stessa storia: tutti credono di avere, o di poter trovare, la “next big thing”, e alla fine tutti se ne vanno con le mani vuote. Che poi questa cosa di dover arrivare al mercato per vedere “qualcosa di nuovo” sappiamo tutti che è un’illusione. Prima di sbarcare sulla Croisette hai già visto tutto, i distributori hanno mandato le line up con i nuovi format e quasi tutti i grandi gruppi hanno invitato i principali clienti un paio di giorni prima a Londra per presentare le novità. A volte preferiscono mantenerne segrete alcune, soprattutto i pilot, ma in generale ancor prima che cominci l’evento è già iniziata la corsa ai formati più hot del momento.
Siamo ormai di fronte a un “mercato diffuso”, aperto tutto l’anno, che celebra la sua “festa” a Cannes per il Mip o a Miami per il Natpe, una o due volte l’anno, sapendo che, grazie all’accesso online ai rating e agli episodi dei programmi di tutto il mondo, questi eventi hanno perso la centralità di un tempo, quando toccava aspettare settimane per i Dvd o, ancora prima, le Vhs dei programmi. Database online come The Wit permettono di monitorare in tempo reale ciò che succede nei vari paesi. E comunque sorgono di continuo (troppe?) nuove fiere ed eventi. “Mercati come Cannes non sono più così necessari. Ma finché i buyer, e soprattutto le reti, continueranno ad andare, anche i distributori ci saranno”, dice Nick Smith, SVP International Format Production di All3Media International. Restano il rituale, le relazioni personali, un luogo di incontro per fare affari (quelli veri) e stringere alleanze.
Nonostante il mercato ora sia diffuso e continuo, è paradossalmente anche sempre più limitato: le fusioni degli ultimi anni (come quelle tra Endemol e Shine e tra Banijay e Zodiak) hanno reso più difficile accedere ai format di maggiore successo, che entrano direttamente nei cataloghi dei grandi gruppi. I produttori o distributori indipendenti sono sempre meno, e anche quando nel mercato spunta un format interessante è complicato “prenderlo” per un solo paese. I gruppi principali infatti si lanciano all’assalto e cercano di chiudere accordi globali.
Questione di marketing
Ci sono però delle dinamiche che non sono cambiate. Come il fatto che spesso nei mercati si creano vere e proprie “bolle” intorno ad alcuni format. Basta il rumour che Channel 4 o M6 o una rete americana abbiano preso il format e tutti corrono a comprarlo. È quello che successe qualche anno fa con Rising Star di Keshet: tutti pensavano che sarebbe stato il nuovo The Voice, e invece… “Le bolle si creano perché alcune case di produzione spendono una fortuna in marketing anche se il programma non è un granché”, dice Stefano Orsucci, CCO di Magnolia Italia. “Circola questa leggenda che si possa inventare un altro talent di successo, e allora puntualmente le case di distribuzione annunciano il nuovo talent fenomeno del momento… Però casi recenti come Stand up for Your Country di Televisa o The Legend di Global Agency dimostrano che il marketing non basta”.
“Le nostre campagne di marketing sono create su misura”, spiega Nick Smith. “Cerchiamo di essere realisti sui paesi in cui è probabile si possa vendere un format e cerchiamo di non dedicare troppo tempo a format non universali”. “La cosa più importante è capire quello che tu hai e gli altri non hanno”, gli fa eco Limor Gott Ronen, Head of Marketing and Communications di Keshet International. E cita il caso del game show Boom!, lanciato nel 2014 a Cannes. “Un programma con una bomba e che viene da Israele? Siete pazzi, ci dicevano. Ma non era una provocazione, era un elemento portante del format. Pensammo ai film d’azione. A chi non piacciono? Puntammo su quello e lo usammo nel teaser: funzionò”, spiega. Quello di Boom! è un esempio perfetto: mistero sul format prima del mercato, notizie filtrate ad hoc, lancio in Israele proprio nei giorni del mercato… C’erano tutti gli ingredienti per farne un fenomeno. A oggi, il format ha avuto sorti alterne: è un discreto successo in Spagna, ma negli altri paesi in cui è andato in onda non ha ottenuto ascolti “esplosivi”. In Italia va in onda su Nove.
Al mercato dei programmi tv
Ma come funziona la giornata in una fiera come Cannes? Se escludiamo pranzi, cene e feste varie (sempre più scarse), che poi sono i momenti in cui più contratti si chiudono, le giornate scorrono saltando da una riunione all’altra, con incontri di 30 minuti, più o meno dalle 9 alle 18, con i compratori che corrono da una parte all’altra e i venditori che li aspettano nei loro stand. Tutti sono sempre in ritardo. Mezz’ora serve a raccontarsi le ultime novità, a cercare di carpire informazioni, a parlare di quattro o cinque titoli… e a decidere se c’è qualcosa che ti interessa.
Ma si può davvero, in 30 minuti, capire se un format vale la pena oppure no? “È difficile dirlo, non è una scienza. Parliamo di un settore dove il volume di errori è molto alto, perché il successo di un programma dipende dai gusti degli spettatori”, spiega Alejandro Flórez, Content Director per la Spagna e il Portogallo di Discovery. In pochi giorni vedi decine e decine di programmi, e inevitabilmente tutto finisce per sembrarti uguale. “L’esperienza affina il criterio e l’intuizione. Però è importante conoscere il mercato e le tendenze, così da avere strumenti per giudicare i contenuti”, conclude Flórez. Per Ronen, “30 minuti sono davvero pochi”. “È dura”, concorda Smith. “Hai un incontro dopo l’altro. E alcuni arrivano così stravolti che sembrano soffrire i postumi di una sbornia”. Ma per catturare l’attenzione un modo c’è: un buon promo.
“Un programma con una bomba e che viene da Israele? Siete pazzi, ci dicevano. Ma non era una provocazione, era un elemento portante del format. Pensammo ai film d’azione. A chi non piacciono? Puntammo su quello e lo usammo nel teaser: funzionò”.
A ciascuno il suo promo
Diversamente dai trailer cinematografici, i promo rivolti agli addetti ai lavori non hanno mai ricevuto molta attenzione. Hanno lo stesso obiettivo dei promo on air, emozionare e convincere, ma si rivolgono a un pubblico di professionisti che possono comprare e produrre il programma.
Un promo “non deve spiegare tutto. Preferisco quando il cliente, dopo averlo visto, fa domande”, dice Smith. “I promo devono essere facili da capire, e non devono durare più di 3 minuti”, aggiunge Orsucci. Devono essere sintetici ma non frenetici, far capire le fasi del programma senza troppa enfasi. Un buon promo lavora a livello emotivo, racconta una storia. “Il promo è la finestra, l’episodio è la porta. E non puoi avere una bella finestra, e poi quando apri la porta…”, dice Ronen. “Si tratta di catturare l’attenzione dei professionisti, per questo il promo deve essere impattante. Ma poi deve soddisfare le aspettative generate”, conclude Flórez.
Per semplificare, ci sono due tipi di promo: quelli di “tv prima della tv” e quelli di “tv dopo la tv”. Nel primo caso, siamo di fronte a promo di format ancora in fase di sviluppo (per esempio, se presentiamo a una rete idee originali); il secondo caso è quello dei promo di programmi già andati in onda altrove, e che quindi arrivano con un corredo di informazioni utili, come gli ascolti nel paese di origine. Il promo è un prodotto con una struttura e un ritmo propri, ma deve riflettere la struttura e il ritmo di un altro prodotto; è uno strumento di marketing che trasmette dati, ma che deve farlo emozionando, con il montaggio, gli effetti speciali, le grafiche, le animazioni, il voice over e altre risorse retoriche, un pubblico particolare di addetti che già conoscono i trucchi del mestiere.
Il promo si basa di solito sul montaggio di immagini e momenti chiave del programma per spiegare il concept, far vedere il set (se è un programma da studio), presentare le storie o i protagonisti, descrivere la meccanica (se è un game show) o raccontare la trama principale (se è una serie). Deve mostrare gli “ingredienti” del programma, trasmetterne il “sapore”, farci immaginare in pochi minuti le emozioni che susciterà negli spettatori. È una parte fondamentale di quel momento speciale di “tv immaginata”. Quando, in una riunione, cominci a immaginare il presentatore, il slot, il pubblico di quel programma. E inizi a “vederlo” già in onda. Se un promo aiuta a ottenere questo effetto, allora è un buon promo.
Una classificazione
Nell’industria televisiva si usano nomi diversi per riferirsi a tipi diversi di video che, durante un pitch, accompagnano il dossier che spiega il format (una semplice scheda o una presentazione con numerose slide). Una prima catalogazione, non esaustiva, comprende varie tipologie.
Teaser. Come al cinema, è breve, ritmato, fa vedere molto poco, a volte non usa nemmeno materiale del programma originale. Il suo obiettivo? Incuriosire, non spiegare. Non va oltre il minuto.
Trailer. È il promo classico. È perfetto se dura tra i 2 e i 3 minuti, poi stanca. Racconta il programma come se fosse una storia, con un’introduzione per spiegare la premessa e “avvicinare” il programma all’esperienza del buyer, una parte centrale che racconta i punti chiave del format e una parte finale più enfatica. Dati ed emozioni, in parti uguali. Usa immagini del programma originale o di varie versioni, se ce ne sono, per sottolinearne il successo internazionale. O si serve di immagini di altri programmi, di disegni o di clip da Youtube, se si tratta di una idea originale che altrimenti sarebbe difficile illustrare. Il tono (ironico o drammatico) del voice over, il ritmo marcato dai cambi di musica, l’uso di grafiche ed effetti speciali dipende molto dal tipo di format e dalla strategia di marketing.
Sizzle reel. È un video più lungo, che arriva a durare 5-10 minuti. Include sequenze intere del programma con i momenti chiave, quelli più divertenti, emozionanti oppure originali. Difficile che sia usato in un primo pitch, è più comune nelle riunioni successive, quando la rete o il produttore vogliono approfondire il contenuto del programma.
Casting tape. La maggior parte dei factual si basa su un cast di protagonisti (per esempio, Hardcore Pawn o Duck Dynasty). Il loro mondo “è” il format. In questi casi è abbastanza comune girare materiale con il talent per far conoscere il suo universo, seguendolo nella vita quotidiana per mostrare i possibili conflitti con altri personaggi. A volte è la rete stessa che, se vuole scommettere su un progetto originale (un paper format) ma dubita si possa davvero realizzare, richiede quello che gli anglosassoni chiamano un proof of concept, un filmato che ne dimostri la fattibilità. Il passo successivo è girare un numero zero.
Il pitch è un momento chiave nella vita di tutti quelli che si dedicano a vendere programmi. Ognuno usa i suoi trucchi. Ma una cosa è certa: che sia di un’idea originale o di un format internazionale è difficile che funzioni senza un buon video. I promo sono così importanti che ci sono società e professionisti (i promo producer, appunto) che si dedicano solo a confezionare trailer di serie o programmi. “Un buon video è il modo più efficace di trasmettere l’idea di un format”, afferma Flórez. Un video è più diretto di una presentazione ed evita equivoci. Il dossier spiega il programma, il video lo vende. “A volte però sono l’abilità e la passione di chi fa il pitch a determinare il vero interesse iniziale della rete”.
Algerino Marroncelli
Quando era bambino, passava i pomeriggi costruendo scenografie di plastilina e giocando “alla tv”. Da grande, ha lavorato in Italia come autore e regista e ha scritto due saggi sulla televisione. Fino a sbarcare nel 2008 a Madrid per lavorare prima a Magnolia e ora a FremantleMedia, dove si occupa dello sviluppo di programmi originali e dell’acquisizione di format internazionali. Su Twitter è @AlgeMarroncelli.
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