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Cosa ci dice il Vision Pro del nostro avvenire digitale

Apple sta puntando molto sulla realtà aumentata, ma in modo diverso dalle altre volte. In attesa che i visori superino i loro limiti evidenti, possiamo però intuire il futuro immaginato dall’azienda per noi.

A distanza di sedici anni dal lancio del primo iPhone, per i colossi della tecnologia sembra giunto il momento di andare oltre lo smartphone. Tra le varie ragioni che si possono individuare – e su cui torneremo – ce n’è una particolarmente impellente: il mercato per il dispositivo che ha rivoluzionato le nostre esistenze è ormai saturo. I miglioramenti tecnologici che si succedono anno dopo anno sono talmente marginali che la stessa Eve Jobs, figlia del fondatore di Apple, ha scherzato sulle risibili differenze tra gli ultimi due modelli di iPhone. Un appiattimento della curva dell’innovazione che – unita forse a una crescente consapevolezza ambientale – sta gradualmente aumentando il ciclo di vita degli smartphone. Secondo uno studio condotto da Allianz Research, gli europei stanno sostituendo i loro smartphone in media ogni 40 mesi, il 25% in più rispetto al 2016. Negli Stati Uniti il tasso di sostituzione è di soli 24 mesi, ma anche in questo caso si tratta di un aumento del 30% rispetto al 2016. 

Vendite in calo

Tutto ciò si riflette sulle vendite: CCS Insight riporta infatti come l’acquisto di smartphone sia destinato a calare nel 2023 del 2% rispetto all’anno prima, in cui aveva già subito un significativo calo del 10%. In un contesto macroeconomico che continua a essere difficile, la ragione di questa flessione viene individuata anche – si legge nel report – “nell’aumento del costo della vita, che soffoca la domanda”. Per i prossimi anni è attesa una ripresa, ma con livelli che rimarranno a livello globale molto più bassi rispetto agli apici toccati nella seconda metà degli anni Dieci. Da 1,41 miliardi di telefoni cellulari che si stima saranno venduti nel 2023 (il tasso più basso almeno dal 2012), si prevede una possibile risalita a 1,51 nel 2025: numeri comunque significativamente inferiori rispetto agli 1,98 miliardi venduti nel 2015. 

L’innovazione su cui puntare non è la realtà virtuale, ma la realtà aumentata: una tecnologia che permette di sovrapporre elementi digitali all’ambiente che ci circonda. Grazie alla realtà aumentata diventa per esempio possibile visualizzare le indicazioni di Google Maps sull’asfalto, mostrarci il nome della pianta che stiamo osservando o in quale scaffale si trova il libro che stiamo cercando.

Alla luce di tutto ciò, è inevitabile che delle aziende obbligate a una costante crescita per soddisfare le mire degli azionisti stiano cercando di aprire nuovi mercati. Anche una realtà non legata al mondo degli smartphone, come Meta, ha cercato di inserirsi in questa fase di incertezza con il grande progetto del metaverso, che – nelle intenzioni – aveva l’obiettivo di lanciare nuovi dispositivi (i visori per la realtà virtuale) e aprire nuovi mercati economici basati su Nft, abbigliamento e accessori per i nostri avatar, eventi e altro ancora. Almeno per ora, la promessa del metaverso si è rivelata essere un buco nell’acqua, probabilmente anche perché rappresenta un netto scostamento rispetto alla traiettoria che il mondo digitale sta da tempo seguendo: dai personal computer agli smartphone fino agli smartwatch, l’ambiente digitale si è infatti sempre più intrecciato con quello fisico. Il metaverso va invece in direzione contraria, puntando a farci abbandonare il mondo fisico per immergerci in uno interamente digitale.

Per tutte queste ragioni, secondo vari colossi del mondo tech l’innovazione su cui puntare per il futuro non è la realtà virtuale, ma la realtà aumentata: una tecnologia che permette di sovrapporre elementi digitali all’ambiente che ci circonda. Grazie alla realtà aumentata diventa per esempio possibile visualizzare le indicazioni di Google Maps direttamente sull’asfalto, far comparire una freccia digitale luminosa che ci indichi dove abbiamo parcheggiato la macchina o qual è il posto in cui dobbiamo sederci al cinema, mostrarci in tempo reale il nome della pianta che stiamo osservando o in quale scaffale della libreria si trova il libro che stiamo cercando. Sono solo pochi, elementari esempi delle potenzialità di una tecnologia il cui primo momento di gloria risale al 2016 con il lancio di Pokémon Go, il videogioco che permetteva di andare a caccia di Pokémon collocati digitalmente nel mondo fisico e visualizzabili inquadrandoli con la videocamera dello smartphone. 

Alternative aumentate

Nonostante il successo (comunque effimero) di questo videogioco e di altri esperimenti svolti in altri settori (arte, fai-da-te, moda), le potenzialità della realtà aumentata non possono esprimersi al meglio finché questa tecnologia rimane confinata nello smartphone, costringendoci ad alternare lo sguardo tra il nostro dispositivo e ciò che ci circonda. Per superare questi limiti, negli ultimi anni numerosi colossi tech e alcune startup dagli ingenti finanziamenti hanno provato a introdurre sul mercato i visori in realtà aumentata, che, posizionando gli elementi digitali letteralmente davanti ai nostri occhi, eliminano l’elemento di frizione rappresentato dagli smartphone. Dai Google Glass del 2013 a Magic Leap One del 2018, arrivando fino agli Spectacles di Snapchat (che nell’ultima versione per sviluppatori ha aggiunto la realtà aumentata alla possibilità di fare foto e video), la diffusione commerciale di questi dispositivi si è però sempre rivelata un flop. Troppo costosi, troppo ingombranti, dalle funzionalità e autonomia ancora troppo ridotte e soprattutto privi di utilizzi di reale interesse per il mercato di massa (gli Hololens di Microsoft hanno invece trovato significative applicazioni in campo professionale).

Le potenzialità dei visori in realtà aumentata sono però legate soprattutto a un uso quotidiano, costante e in mobilità, che ci permetta di eliminare gradualmente lo smartphone e la distanza che frappone tra il mondo digitale e quello fisico. Per un utilizzo di questo tipo è però indispensabile, tra le altre cose, che questi visori siano leggeri, il più possibile simili a dei normali occhiali e che la loro batteria ci permetta di utilizzarli nell’arco di tutta la giornata.

Nonostante i fallimenti che si sono succeduti nel corso di un decennio, le più importanti aziende del mondo tecnologico hanno continuato a scommettere sulla possibilità che i visori in realtà aumentata ci traghettino in un mondo post-smartphone. Tra queste aziende Apple, il cui CEO Tim Cook quasi un anno fa aveva pubblicamente esplicitato le sue perplessità sul metaverso (su cui non ha mai puntato), dichiarando che “entro breve ci chiederemo come abbiamo potuto vivere senza la realtà aumentata”.

Da queste considerazioni, e puntando sulla storica capacità di Apple di lanciare i prodotti solo quando sono pronti per la diffusione sul mercato, nasce il Vision Pro: un visore sia per la realtà virtuale sia per quella aumentata, ma che fin dai primissimi istanti del video ufficiale di presentazione mette in chiaro come Apple punti innanzitutto su quest’ultima. Le potenzialità dei visori in realtà aumentata sono però legate soprattutto a un uso quotidiano, costante e in mobilità, che ci permetta di eliminare gradualmente lo smartphone e la distanza che frappone tra il mondo digitale e quello fisico. Per un utilizzo di questo tipo è però indispensabile, tra le altre cose, che questi visori siano leggeri, il più possibile simili a dei normali occhiali e che la loro batteria ci permetta di utilizzarli nell’arco di tutta la giornata.

Da questo punto di vista, i limiti del Vision Pro (al di là del prezzo elevatissimo: 3.500 dollari) sono evidenti e ricalcano in parte quelli dei suoi predecessori: è ingombrante, la batteria ha una durata troppo limitata per un uso costante (massimo due ore) e l’utilizzo casalingo promosso nel video di lancio – in cui è impiegato al posto del computer, più che dello smartphone – non sembra apportare significativi vantaggi a livello di utilizzo. Insomma, la realtà aumentata è una sfida a lungo termine. A differenza di quanto avvenuto con l’iPod, l’iPhone e il suo smartwatch, Apple non sembra ambire a conquistare il mercato, ma piuttosto a posizionarsi già da adesso come brand di riferimento del settore, sperando di raccogliere i frutti quando (se?) questa tecnologia sarà davvero pronta per il pubblico di massa.

In attesa del futuro

Le stesse stime di Apple sulle vendite del Vision Pro riflettono tutto ciò. L’obiettivo iniziale era riuscire a produrre 900mila esemplari nel primo anno, numero poi sceso a 400mila a causa di alcune difficoltà a livello di produzione. Numeri molto ridotti rispetto a quelli del primo iPhone, che da giugno 2007 a luglio 2008 vendette oltre 6 milioni di dispositivi. Nonostante la strada sia in salita e le incognite da risolvere ancora numerose, la convinzione di Tim Cook è che sia tramite i visori in realtà aumentata – su cui anche altre aziende, in primis Meta, stanno puntando – che Apple potrà ancora determinare il tracciato tecnologico del nostro futuro, liberandoci definitivamente dalle limitazioni legate all’uso di smartphone e pc e realizzando la promessa di un mondo aumentato, in cui fisico e digitale si fondono naturalmente. È il definitivo superamento delle dicotomie fisico/digitale e online/offline, che ci permetterà di raggiungere quella condizione che Luciano Floridi ha notoriamente definito “onlife”. Nel tempo, diventerà però sempre più importante porsi anche delle domande sui lati negativi di questa (possibile) evoluzione del nostro rapporto con la tecnologia. In un periodo storico in cui gli smartphone sono accusati di averci reso “always on” – sempre connessi, sempre reperibili, sempre pronti a reagire agli stimoli digitali – che cosa succederà quando le mail, le telefonate, le notifiche e gli appuntamenti non compariranno più sul nostro smartphone, ma direttamente davanti ai nostri occhi, aumentando ancor più la nostra capacità di gestirle in tempo reale in qualunque momento della giornata? Non è tutto: se adesso dobbiamo prendere in mano lo smartphone per collegarci al mondo digitale, in un futuro caratterizzato dai visori in realtà aumentata dovremo decidere di toglierci il visore per scollegarci. Differenza fondamentale: la nostra condizione di base sarà connessa alla rete e al fiume di attività lavorative o sociali che possiamo gestire sui dispositivi in realtà aumentata. Riusciremo a governare questa ulteriore mole di stimoli digitali o l’avvento dei visori in realtà aumentata rappresenterà la goccia che fa traboccare il vaso, esasperando quel sovraccarico cognitivo di cui già adesso siamo vittime?


Andrea Daniele Signorelli

Giornalista freelance, si occupa del rapporto tra nuove tecnologie, politica e società. Scrive per Domani, Wired, Repubblica, Il Tascabile e altri. È autore del podcast Crash - La chiave per il digitale.

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