Prima il mondo dell’arte, adesso quello del giornalismo, delle newsletter e dei media. Blockchain e NFT sono parole usate tantissimo negli ultimi anni, ma è ora di capire davvero cosa significano.
Se quando sentite parlare di blockchain cercate subito di localizzare la più vicina via d’uscita, piacere, sono uno di voi. E sono qui per dirvi, qualora non lo sapeste già, che la prossima volta che vi capiterà di sentire discorsi simili, forse sarà meglio restare fermi ad ascoltare. Almeno un po’, senza diventare per forza zelantissimi neofiti delle criptovalute. Perché il mondo crypto sta cambiando, e in fretta: molti lo hanno scoperto inseguendo le quotazioni dei Bitcoin, altri saranno andati più in profondità, esplorando la blockchain e il white paper di Satoshi Nakamoto, creatore dei Bitcoin. Elementi un tempo oscuri che ritroviamo in sempre più argomenti e settori, inevitabili. Val la pena conoscerli, quindi, anche perché potrebbero essere la chiave di volta per comprendere la prossima fase dei media.
Definizioni e cambiamenti
Prima di proseguire, però, urge una didascalia su alcuni dei termini usati fin qui. Senza dilungarsi in tecnicismi, la blockchain è un registro digitale, un archivio condiviso e quasi immutabile (ci sono rarissime eccezioni), in cui ogni nuova informazione diventa un nuovo “blocco” della “catena” (da qui il nome). Una struttura decentralizzata, che non ha piramidi gerarchiche né centri su cui tutti convergono, ma una maglia di blocchi uguali: tutti i punti della blockchain conservano tutti i dati dell’archivio. Secondo Paul Vigna e Michael J. Casey, giornalisti del Wall Street Journal e autori di The Age of Cryptocurrency: How Bitcoin and the Blockchain Are Challenging the Global Economic Order (2016), “le sue caratteristiche principali sono il suo modello decentralizzato di prove ‘senza fiducia’ e un database generato automaticamente che contiene ogni transazione che è stata fatta, disponibile a tutti e impossibile da modificare”. E la parola crypto, che vuol dire? Si riferisce alla crittografia, il sistema con cui è garantita la sicurezza e integrità dei dati contenuti nell’archivio. Valute come Bitcoin ed Ethereum – ma anche stranezze come Dogecoin – si fondano proprio su questo tipo di sistema.
Bene, ora che abbiamo fatto luce sulla tecnologia che forse cambierà il mondo – o forse l’ha già cambiato – possiamo passare oltre e incontrare chi pensa che proprio questo nuovo mondo crypto potrebbe anche cambiare i media. E non solo.
Gli NFT come cuccagna, l’Eldorado in cui tutti (persino Beeple!) fanno soldi facili con l’arte. Tanto bling bling non poteva che attirare su di sé le mire di un settore che da tempo cerca – invano – nuove fonti di revenue: il mondo dei media ha scoperto questi misteriosi token, anche se al momento sembra stia ancora scrutando l’oscuro meccanismo per capire come attivare la pioggia di soldi.
NFT. È probabile che abbiate incontrato questa strana sigla da qualche parte negli ultimi mesi. Sta per Non-Fungible Token (token non fungibile) ed è un altro nodo da sciogliere prima di proseguire e affrontare la questione “futuro dei media”. Un token è un gettone crittografico, un codice con cui gli utenti possono usare la blockchain per funzioni non strettamente economiche. Con uno specifico token, o gettone, si può per esempio indicare la proprietà di una certa opera conservata nella blockchain. Ed eccoci, seppur zoppicanti, agli NFT, i gettoni con cui il mondo crypto ha invaso quello dell’arte, garantendo “autenticità” e “unicità” a una data opera d’arte in ambiente digitale. Beeple è stato il primo artista a farsi notare guadagnando milioni in questo modo (il fatto che i suoi lavori siano discutibili è un argomento ingombrante che non affronteremo qui). Negli ultimi mesi praticamente tutti – dal CEO di Twitter Jack Dorsey alla musicista-moglie-di-Elon-Musk Grimes – si sono cimentati nella vendita di questa cryptoarte. E non è una novità: CryptoKitties è un sito che da anni vende gattini digitali a carissimo prezzo – immaginate dei Pokémon per adulti con wallet gonfi di valute.
Tocca ai media
Gli NFT, quindi, come cuccagna, l’Eldorado in cui tutti (persino Beeple!) fanno soldi facili con l’arte. Tanto bling bling non poteva che attirare su di sé le mire di un settore che da tempo cerca – invano – nuove fonti di revenue: il mondo dei media ha scoperto questi misteriosi token, anche se al momento sembra stia ancora scrutando l’oscuro meccanismo per capire come attivare la pioggia di soldi.
I primi ad arrivare sono stati gli indipendenti, come sempre. Kyle Chayka è uno scrittore americano che si occupa di arte e cose digitali. Nel 2020 ha pubblicato The Longing For Less, saggio sul minimalismo contemporaneo, firma una rubrica sul New Yorker e gestisce un magazine sotto forma di newsletter, Dirt, che si occupa di intrattenimento online nel senso più vasto possibile. Le serie Netflix, un trend su YouTube, una collana di libri, una aesthetic di TikTok: in un mondo in cui tutto avviene su schermo, tutto può essere intrattenimento. Dirt pubblica interventi quasi-quotidiani di collaboratori e giornalisti, pagando anche bene: come fa? Grazie a un crowdfunding fatto con gli NFT, ovviamente.
Lo scorso maggio il magazine ha messo in vendita 30 NFT in una crypto-asta su Mirror, un sito specializzato (ci arriviamo). Il mondo crypto si basa sul concetto di scarsità: ogni bene dev’essere finito per garantire un minimo di valore. Allo stesso modo, le opere messe all’asta così sono uniche o disponibili in pochissime copie (al massimo cento): chi si aggiudica un NFT, quindi, entra in possesso di qualcosa di etereo e digitale, sì, ma anche di scarso – se non proprio unico. Nell’asta di Dirt, ogni opera ha come protagonista “Dirty” – un mucchietto di terra versione cartoon che è la mascotte del giornale – in diverse versioni: c’è “Dirty S1 Pea Green” (100 copie; 0,05 Ethereum ciascuna, circa 150 dollari); “Dirty S1 Pearl Pink” (30 copie; 0,20 ETH, circa 600 dollari); “Dirty S1 Rainbow Wave” (copia unica; 1.23 ETH, circa 3800 dollari). In tutto, Dirt ha ottenuto 6,58 ETH di fondi, pari a circa 17 mila dollari. Per una newsletter senza redazione né stipendi fissi. Facile, no?
Il mondo crypto è in ebollizione: al suo interno c’è di tutto, dal serio al faceto, dal truffaldino al geniale. Un brodo primordiale, insomma. “Attualmente, il crypto è nello stesso punto di flesso in cui si trovava internet nel 1997, a livello di crescita d’utenti. Però sta crescendo al doppio della velocità”.
Ecco, non proprio. Perché le difficoltà tecniche rimangono, specie quelle iniziali. Come ci ha spiegato Chayka stesso, “c’è sicuramente un ostacolo nel creare, comprare e vendere NFT. Mi ci son voluti molti giorni per capire davvero di che si parlava; il passo più delicato è la creazione di un wallet e l’acquisto di Ethereum per comprare NFT” (per wallet si intende un portafoglio digitale indispensabile all’acquisto e scambio di beni con criptovalute). Ma, precisa lo scrittore, le cose stanno cambiando in fretta, perché “ci sono mercati digitali come OpenSea che stanno rendendo sempre più facile coniare NFT”.
Ebollizione
Il mondo crypto è in ebollizione: al suo interno c’è di tutto, dal serio al faceto, dal truffaldino al geniale. Un brodo primordiale, insomma. “Attualmente,” ha scritto Will Lion, che si occupa di strategia per l’agenzia BBH London, “il crypto è nello stesso punto di flesso in cui si trovava internet nel 1997, a livello di crescita d’utenti. Però sta crescendo al doppio della velocità”. Quanto al citato Mirror, è “una piattaforma che è di proprietà della sua community”, una cryptoeconomia interna dedita alla scrittura. Per accedervi e farvi parte bisogna acquistare un token proprietario, $WRITE, con cui gli utenti ottengono voce in capitolo su chi e cosa viene pubblicato sulla piattaforma. Se vi sembra un’idea astrusa, è forse perché state cercando di farla coincidere con modelli già esistenti. Ecco, no: su Mirror gli utenti possono anche mettere in gara gli aspiranti autori, in una “WRITE RACE” in cui i dieci vincitori vincono dei token $WRITE, e diventano parte di Mirror. Ogni lembo del settore crypto sembra muoversi verso fuori per poi rientrare, cercando spazio vitale per incorporarlo in una “micro-economia” che è contemporaneamente fusa al resto del mondo ma anche fieramente indipendente.
È proprio Mirror ad aver insegnato a Chayka “l’importanza degli NFT e dei social token, l’uso che se ne può fare per creare micro-economie”. Dirt è a tutti gli effetti questo: una newsletter che è un magazine che è anche una micro-economia a sé stante, decentralizzata, basata sulla vendita di oggetti digitali scarsi, con cui pagare autori e giornalisti – spesso meglio di alcuni siti di news. Nel momento in cui scriviamo un’altra newsletter, “Garbage Day” di Ryan Broderick, è sbarcata nella piattaforma; altre seguiranno. E il futuro? “Credo che sempre più testate pubblicheranno NFT come forma di contenuto, e non solo accessori ad articoli”, dice Chayka. Il riferimento è anche a un articolo del New York Times che fu messo all’asta come NFT, e per cui qualcuno ha sborsato 560 mila dollari in Ethereum. Se il crypto è nello stadio in cui si trovava internet nel 1997 ma sta crescendo più velocemente, le cose cambieranno molto nei prossimi mesi. E anni. Abbiamo cominciato questo articolo cercando l’ennesimo fantomatico “futuro del giornalismo”. Forse abbiamo trovato il futuro, quello vero.
Pietro Minto
Nato a Mirano, in provincia di Venezia, nel 1987; vive a Milano. Collabora con Il Foglio, Il Post e altre testate. Dal 2014 cura la newsletter Link Molto Belli.
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