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Animazioni contemporanee

Tra grandi franchise e capolavori giapponesi, il cinema d’animazione contemporaneo è al centro di un nuovo fermento sperimentale, sia tecnico che narrativo. Un racconto dei trend globali mette in luce limiti e opportunità per le produzioni italiane.

Una ragazza alla finestra guarda le stelle, poi con la mano destra cerca di staccarne una, l’avvicina alla bocca e se la mangia.

Un’altra mano versa del vino rosso in un calice, poi prende la bottiglia e la posiziona su un giradischi. Sempre la stessa mano con un po’ di pressione pigia sul collo della bottiglia, rendendola ceramica modellabile, e trasformandola in un disco che inizia a girare sul piatto.

Questi sono due reel pubblicati sul profilo instagram di Annie Choi, in arte Anchoponcho, animatrice virtuale e artista, collaboratrice dello Studio Ghibli. Choi utilizza l’animazione come forma malleabile, estendibile, riducibile, in continua trasformazione, senza la necessità e il dovere di ancorarsi al mondo fisico. L’animazione è pensata come sperimentazione tecnica e visiva, non come un mezzo per raccontare una storia o mostrare una sequela di azioni. Dopotutto l’animazione in origine era proprio questo: una costante variabilità delle sue stesse forme ed estetiche, pura esperienza di multi percezione.

Animazione liquida

Il cinema di animazione nasce storicamente come movimento di esplorazione delle forme, di suggestioni visive, mescolanza di registri, continua ibridazione delle tecniche, poi nel corso del Novecento si è addomesticato come genere cinematografico quasi d’appendice. Nel cinema di animazione mainstream occidentale, quindi nel dominio dello studio Disney, solo a fine anni Novanta ampliato a Dreamworks, Pixar e Illumination, la forma viene accantonata per raccontare storie indirizzate a un pubblico principalmente infantile, con poche eccezioni. Negli ultimi anni, invece, a partire dall’uscita di Spider-Man into the Spider-Verse (2019) la rotta sta cambiando: ovviamente il film è ancora legato a una storia forte, ma le immagini sembrano respirare e non ricalcare pedissequamente il mondo fisico in cui viviamo.

Il 2023 è stato un anno importante per il cinema d’animazione, sia a livello internazionale che nazionale. Pensiamo ad alcune opere uscite in Italia: Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki, ma anche il nuovo film della Pixar, Elemental, l’ultimo della Disney, Wish, e infine Super Mario Bros e Kung Fu Panda 4.

In Spider-Man into the Spider-Verse fin da prima dei fotogrammi l’ibridazione irrompe sullo schermo, persino il logo della Columbia Pictures, la casa di produzione della pellicola, si trasforma in una cavallerizza, mentre continue colorate interferenze fanno capolino per tutti i titoli di testa. Tutto il film si muoverà in perfetto equilibrio tra la bidimensionalità tipica del fumetto e la tridimensionalità cinematografica. Spider-Man ci trasporta in una vera esperienza percettiva, di continuo rimescolamento e scoperta. Ancora di più lo fa il secondo capitolo, uscito nel 2023, che tende fino all’estremo il filo di straniamento dello sguardo: lo schermo diventa una tavola pittorica, in cui le tecniche possono comporsi e scomporsi, creando sempre nuovi significati semantici. La tecnica dell’assemblaggio, il compositing, e l’idea di poter rendere l’animazione più “liquida”, quindi modellabile, è sempre più presente nel cinema mainstream contemporaneo.

Forme ibride di cinema d’animazione

Il 2023 è stato un anno in cui il cinema d’animazione ha portato diverse nuove pellicole e ha incassato bene sia a livello internazionale, che nazionale. Pensiamo ad alcune opere uscite in Italia negli ultimi mesi: primo fra tutti Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki, opera testamento del fondatore dello Studio Ghibli, ma anche il nuovo film della Pixar, Elemental, l’ultimo della Disney per festeggiare i cento anni dello Studio, Wish, e infine Super Mario Bros e il quarto capitolo di Kung Fu Panda

Il lavoro di Miyazaki e del suo studio si è sempre distinto per una costante ricerca di forme malleabili. Molte delle figure de La città incantata – pensiamo ai Senza volto – sono duttili e mutevoli. La casa nipponica è ancora fedele alla tradizione del disegno a mano, i tempi di produzione sono molto dilatati, mentre utilizza il software Toonz per la composizione digitale delle immagini. Il ragazzo e l’airone non è tra i film più sperimentali dell’autore, ma sicuramente alcune sequenze, soprattutto quella dell’incendio in cui vediamo la madre del protagonista avvolta dalle fiamme, è un momento di cromatismo percettivo coinvolgente. E quello che colpisce è proprio l’interesse del pubblico: è il film giapponese della storia con più incassi in Italia, simbolo di un’animazione che vira verso assemblaggi visivi più che una storia da seguire. Pensiamo alla scena in cui vediamo la madre del protagonista distesa su un triclinio ceruleo di spalle, i capelli lunghi neri che toccano terra, delicatamente assorta in un sogno. Il figlio si avvicina per toccarla ma lei inizia a sciogliersi lentamente, diventando acqua che sparisce nel pavimento. Miyazaki procede più per affreschi, anche se un po’ confusamente, che per nuclei narrativi.

Il caso di Elemental, invece, è molto diverso: partito come flop, la peggior uscita al cinema nella storia della Pixar, si è rivelato un film a lento incasso. Anche in Italia la pellicola è andata molto bene e qui, nonostante una narrazione molto classica, una storia d’amore tra una fiammella e una goccia d’acqua, è interessante soffermarsi sulla natura della creazione animata. Il film Pixar è lontano dalle sperimentazioni di alcune produzioni precedenti, pensiamo alla sequenza nel pensiero astratto di Inside out (2015) in cui i protagonisti cambiano forma del corpo passando da 3D, a forme cubiste, per poi frammentarsi, diventando bidimensionali e infine una figura geometrica. Elemental è sperimentale nel suo approccio tecnico perché è il primo film Pixar a utilizzare l’intelligenza artificiale nella produzione di uno dei protagonisti, sperimentando il neural style transfer per la creazione di sequenze attraverso voxel, pixel in 3D. È evidente la natura mutevole di Ember, la fiammella, che nasce grazie alla tecnica del compositing, i risultati creati dall’nst combinati insieme ai disegni di un animatore dello Studio. Il risultato è ancora acerbo, ma l’utilizzo dell’intelligenza artificiale combinata potrebbe essere sicuramente un nuovo campo di ricerca.

Se l’animazione internazionale in Italia è guardata con interesse, le produzioni italiane faticano a stare al passo con la sperimentazione tecnica. L’animazione per la sala è ancora considerata cinematografia di serie b e le poche pellicole che riescono a emergere ricalcano un’animazione tradizionale e rassicurante.

Con Wish, film Disney, ci spostiamo in un terreno apparentemente più mainstream. Il film racconta la storia di Asha e della sua capretta che tentano di salvare il mondo da un personaggio cattivo. Sembra una storia già scritta: il viaggio dell’eroe (eroina in questo caso) che dal mondo ordinario passa a quello straordinario e non potrà che tornare cambiata. La Disney decide di celebrare i 100 anni dalla nascita dello studio (era l’ottobre del 1923) con l’utilizzo di un’animazione ibrida, unendo la bidimensionalità alla tridimensionalità, cercando di evocare le sperimentazioni disneyane degli anni Trenta e Quaranta.

Forse il più strettamente mainstream e anche tecnicamente poco sperimentale rimane Kung Fu Panda 4. Il film è andato benissimo in sala, sia in Italia che all’estero, grazie soprattutto alla fidelizzazione del pubblico (quattro film in sedici anni). Non c’è nessuno slancio di sperimentazione e la pellicola si inserisce in un franchise che sembra non avere più nulla da dire. Il caso di Super Mario Bros è invece più curioso, un film che si posiziona a metà tra cinema e videogame. L’idea è proprio quella di proporre un punto di vista ibrido: in alcune sequenze è quello dell’utente, visibile attraverso riprese frontali o sguardi intrasoggettivi, come osserva Martina Vita: “non si presenta come semplice trasposizione, ma come metamorfosi estetico-iconica che attraversa le differenti manifestazioni videoludiche del franchise”. Qui l’ibridazione non è tecnica, non si parla di compositing o di animazione malleabile, liquida, ma proprio di medium: facendo incontrare il videogame con il cinema d’animazione si cerca di strutturare il film in maniera differente, Mario Bros scopre lo spazio intorno a sé, non racconta un videogame, prova a diventarlo.

Fuga dalla cinematografia di serie b

Se l’animazione internazionale in Italia è guardata con interesse, le produzioni italiane faticano a stare al passo con la sperimentazione tecnica, nell’esperienza percettiva e sensoriale. Due sono i film usciti al cinema nell’ultimo anno: il primo è Mary e lo spirito di mezzanotte di Enzo d’Alò e il secondo è Yaya e Lennie di Alessandro Rak. Entrambi gli autori sono punti di riferimento per le pellicole d’animazione italiana, ma nessuno dei due film riesce ad avere uno slancio sperimentale o di assemblamento creativo. Il film di D’Alò è in computer graphic ed è una coerente traslazione letteraria di un libro per ragazzi; mentre quello di Rak, che pure nasceva come interessato alle ibridazioni delle forme, si incatena a una favola green con una carica visiva piuttosto opaca. In Italia non c’è stato ancora un ricambio generazionale, lo scorso anno nel bando pubblico per lo stanziamento dei fondi per l’animazione ci sono state così poche domande che sono state finanziate tutte, una notizia paradossale se pensiamo a quanto sia difficile ottenere gli stessi finanziamenti per un film non animato. In Italia escono uno o due film di animazione all’anno, quando va bene, mentre ci sono vari cortometraggi di giovani artiste (evidenti dalle cinquine dei Nastri d’argento per cortometraggi animati) che non riescono spesso ad arrivare alla produzione di un lungometraggio o, se riescono, il film non trova una distribuzione. In Italia l’animazione per la sala è ancora considerata cinematografia di serie b e le poche pellicole che riescono a uscire allo scoperto ricalcano un’animazione tradizionale e raccontano una storia fin troppo rassicurante. 

Un caso particolare è stato La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Lorenzo Mattotti (2019), tratto dal romanzo di Dino Buzzati. Già la scelta di un testo che concepisce la favola per bambini come un’esperienza non per forza confortante e moralistica chiarisce le intenzioni di Mattotti anche nella scelta dell’animazione. L’artista modella gli orsi attraverso figure geometriche semplici, il tratto è morbido e caldo, come scrive Damiano Pellegrino: “lontani dai loro connotati descrittivi e realistici, si presentano come il risultato di un puro atto inventivo, elaborato attraverso le caratteristiche proprie del medium artistico”.

Come in Spider-Man into the Spider-Verse tutto il film è costellato da momenti di evasione animata, piccoli loop in cui non c’è un salto in avanti nella narrazione, ma lo spazio si ferma e si riempie di una moltiplicazione di figure che vivono la scena e fanno respirare lo spettatore. Mattotti è un autore poliedrico, è riuscito a disegnare un film che guarda con curiosità alla sperimentazione della forma, non a caso è stato prodotto principalmente da una casa di produzione francese, Prima Linea Production, che fa un lavoro sul cinema d’animazione autoriale da anni (Michel Ocelot e Sylvain Chomet sono i primi due esempi che vengono in mente, rispettivamente l’autore di Kiriku e la strega Karabà e l’autore di Appuntamento a Belleville). Il film, presentato al Festival di Cannes e apprezzato dalla critica specializzata, si è rivelato un grandissimo flop, in pochissimi l’hanno visto al cinema e addirittura la casa di produzione ha dovuto chiudere poco dopo. L’idea di investire su un film del genere in Italia era impossibile, ma dal 2019 a oggi qualcosa è cambiato: l’acquisto di film di animazione da parte delle piattaforme, dalla Francia al Giappone, ha mostrato un diverso tratto nel disegno e nell’animazione, e ha finito per incuriosire il pubblico. L’ultimo film di Miyazaki, Il ragazzo e l’airone, ne è l’esempio perfetto.

La possibilità di guardare nuove forme di sperimentazione, provenienti da diverse aree geografiche, tramite le proiezioni nelle sale cinematografiche e la diffusione nelle piattaforme, potrebbe stimolare un nuovo capitolo nel cinema di animazione italiano mainstream. È anche vero che se si continuano a finanziare opere di animazione che non vengono mai distribuite al cinema o che forse si inceppano anche prima (nella pre-produzione? nella post produzione? nella ricerca di altri finanziamenti?), tutta la fantasia del mondo non basta e il problema rimane alla radice. Se perfino una casa di produzione storica come Prima Linea Production non riesce più a sostenersi, il problema è profondo e capillare. C’è bisogno di investire sul cinema d’animazione, sicuramente, ma soprattutto sulla sala. Il cinema d’animazione italiano ha bisogno di uscire dal suo campo di invisibilità e per farlo serve dare a una nuova generazione di sperimentatori gli strumenti per entrare in questa nuova fase del cinema di animazione contemporaneo.


Alice Sagrati

Regista, autrice e sceneggiatrice. Ha scritto di cinema e linguaggi dell’audiovisivo su Il Tascabile e minima&moralia. Ha fondato Rivista Stanca.

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