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Il lato oscuro dei sottotitoli

Come cambia la comprensione dei prodotti audiovisivi quando i sottotitoli vengono tradotti in maniera approssimativa o, peggio ancora, meccanica? Una riflessione sullo stato dell’industria delle traduzioni per lo streaming, tra precarietà e automazione.

Quando, nel 2020, vinse il Golden Globe per il miglior film straniero per Parasite, il regista Bong Joon-ho disse alla platea americana, restia a guardare film stranieri e poco avvezza al doppiaggio, che c’era tutto un mondo di film da scoprire, bastava superare quel piccolo scoglio di due centimetri e mezzo che erano i sottotitoli.

Dentro quelle righe di testo c’è però un altro mondo ancora, quello di chi li traduce, che si differenzia dal doppiaggio per iter produttivo. Quando guardate un film, un documentario, una serie televisiva in lingua straniera o giocate a un videogioco, i sottotitoli che accompagnano la visione sono realizzati da persone diverse rispetto a quelle che hanno adattato il copione da far recitare ai doppiatori. Ci sono altre regole e sfide rispetto all’adattamento per il parlato (va infatti rispettato lo spazio sullo schermo, non si può tradurre una frase che occupa cinque righe tutte schiaffate insieme sul fotogramma, vanno scelte parole chiare e il più brevi possibile) ma, come il resto del settore delle traduzioni, anche questa branca ha visto l’arrivo dell’intelligenza artificiale come strumento di lavoro che dovrebbe piano piano soppiantare l’apporto umano.

Traduzioni all’ingrosso

Da tempo ormai tra cinefili, e non, si discute dell’opportunità di doppiare i prodotti audiovisivi, pratica che in Italia è sempre stata impiegata molto più che altrove, facendo fiorire un settore di grandi eccellenze ma anche di storture (il doppiaggese o un certo stile declamatorio che ha appiattito le performance degli attori originali) che sono diventate sempre più frequenti e hanno spinto il pubblico tra le braccia delle versioni non doppiate, e sottotitolate, di quegli stessi prodotti. Proprio nel momento in cui i sottotitoli stanno quindi diventando centrali nell’esperienza degli spettatori, il mercato cerca di abbattere il loro costo, a scapito della qualità.

Molto spesso, le piattaforme di streaming hanno a cuore l’adattamento solo di una manciata di titoli, a cui è dedicato un budget maggiore, mentre il resto è rumore di fondo per riempire il catalogo, e ricade nella fascia dei prodotti low budget.

La traduzione dei sottotitoli è commissionata dal distributore o dalla piattaforma di streaming a un’agenzia, che subappalta il lavoro ai traduttori. Molto spesso, le piattaforme di streaming hanno a cuore l’adattamento solo di una manciata di titoli, quelli di richiamo, a cui è dedicato un budget maggiore, mentre il resto è rumore di fondo per riempire il catalogo e dare l’illusione della scelta, e ricade nella fascia dei prodotti low budget.

Squid Game, inaspettato successo di Netflix, è nato come uno di quei titoli minori, tanto che inizialmente non era nemmeno stato doppiato in italiano, e i sottotitoli sono stati tradotti utilizzando la cosiddetta “lingua ponte”, cioè una traduzione del testo in una lingua che è diversa da quella originale. In questo caso, i sottotitolatori italiani di Squid Game hanno utilizzato come “lingua ponte” la traduzione inglese dei sottotitoli che erano a loro volta tradotti dalla lingua originale, il coreano. È una pratica non così rara e che però rischia di creare spesso strafalcioni, perché certi significati e giochi di parole si perdono (e questo è ancora più vero per le lingue orientali, dove il contesto conta moltissimo per decidere il significato giusto da scegliere).

Alcune agenzie hanno iniziato a implementare l’intelligenza artificiale fornendola come strumento ai traduttori, che dovrebbero idealmente lavorare sul testo già tradotto dal programma e correggere solo “gli errori più vistosi” (senza però dare una definizione di “vistoso”). Una fonte che preferisce restare anonima, ma che lavora nel settore da molto tempo, racconta che nell’ambiente delle agenzie, quindi non direttamente delle piattaforme o dei distributori, vige la regola della “good enough quality”, ossia la “qualità sufficiente”, un livello di decenza che questi grandi committenti si aspettano dalla traduzione ma che punta al ribasso, in favore di tempistiche stringenti e massimi ricavi.

Sottotitoli artificiali

Correggere un testo dovrebbe prendere meno tempo rispetto a tradurlo da zero. In realtà, quando si corregge un testo ci vuole molta più attenzione rispetto a quando lo si traduce da zero. È molto più facile che scappino degli errori in fase di revisione. Invece, per chi commissiona il lavoro il calcolo è puramente quantitativo: se cambi il 50% del testo verrai pagato il 50% del compenso. “È un ragionamento da ingegnere e non da linguista, e si vede” dice la fonte “non funziona così, perché magari il 50% che cambia un traduttore sono i giochi di parole, i doppi sensi o le cose complesse che portano via tempo”. Ma a volte vengono cambiati anche i semplici “ciao, come va?” perché l’IA, basandosi su casi precedenti, può confondere un saluto informale con una dichiarazione d’amore.

Non solo: in ambito delle traduzioni videoludiche, le agenzie utilizzano IA nel cui database sono immagazzinate frasi che possono ripetersi nel corso della traduzione. Il programma può trovare una frase uguale e proporre la traduzione che era già utilizzata. Se la frase tradotta resta uguale, l’agenzia poi sconta una parte del compenso e così uno strumento che, in teoria, avrebbe dovuto agevolare il traduttore, gli toglie lavoro.

Quello del “good enough” è un principio di ambito tecnologico ed è utilizzato quando si parla di software o progettazione di sistemi. Non è un caso: queste agenzie nascono con una vocazione tecnologica, il loro core business è, magari, proprio quel programma che offrono ai traduttori e che cercano di affinare attraverso la creazione di un database. Molto spesso, dice chi lavora nell’ambito, si capisce di chi è l’IA che si sta utilizzando perché nel suo database, come possibile traduzione di una frase, offre una battuta di un’altra serie o film che contiene anche il nome di un personaggio – perché magari è così che è stato tradotto dalla persona che curava i sottotitoli. Film e videogiochi si appoggiano sull’elemento visivo che dialoga costantemente con il testo e per un programma tradurre senza il contesto porta spesso a commettere errori marchiani: in un recente film tedesco distribuito da Prime Video un personaggio saluta esclamando “mattina!”, un calco di “morgen”, inteso come contrazione di “guten morgen”, “buongiorno” (sarebbe bastato tradurre “giorno”, come di solito si dice in italiano).

Dato che la macchina impara nutrendosi delle proprie esperienze, una volta che un errore viene incamerato dal programma il database si inquina, portando a un catalogo di traduzioni fallaci. Le traduzioni curate dall’IA sono destinate a diffondere un impoverimento linguistico e un incredibile appiattimento letterario.

E, dato che la macchina impara facendo e si nutre delle proprie esperienze (senza però distinguere tra quelle corrette e quelle sbagliate), una volta che questo errore viene incamerato dal programma, il database si inquina, portando a un catalogo di traduzioni limitate e fallaci. A forza di errori e pasticci linguistici, le traduzioni curate dall’IA sono destinate a diffondere un impoverimento linguistico e un incredibile appiattimento letterario.

Un lavoro a ribasso

Da parte delle piattaforme, il calcolo è puramente di rischio-beneficio. Se una traduzione ha seri problemi grammaticali (e qualcuno se ne accorge, dato non scontato) viene rimandata al fornitore, che poi rischia di non vedersi affidati altri lavori, però succede solo su alcuni prodotti, quelli più in vista magari. Alla fine, di tutto quel monte di prodotti audiovisivi tradotti, quanto importa davvero al pubblico? Se continua a guardare e non protesta, chi ha interesse a cambiarlo?

Intelligenza artificiale a parte, questo atteggiamento volto a cercare scorciatoie è ormai la norma. La piattaforma Rakuten Viki riesce a far tradurre opere gratuitamente, facendolo fare ai fan (attirati dalla possibilità di guardare gratis i loro prodotti preferiti e nel frattempo “imparare la lingua”), in un meccanismo che perverte il lavoro fatto per passione dei fansub dei primi anni Duemila – gruppi di traduttori amatoriali che però erano organizzatissimi e riuscivano a proporre sottotitoli di serie televisive stranieri a poche ore dalla messa in onda – in una dinamica ai limiti dello sfruttamento. 

“Per me l’IA è più un dizionario, ti dà delle idee” dice la fonte “La vogliono vendere come un aiuto fondamentale che fa il lavoro di manovalanza non creativo ma al momento non riduce nemmeno quello, perché capita che sbagli anche traduzioni più elementari. Ma chi crea e distribuisce le IA ha una potenza di fuoco comunicativa immensa e sta riuscendo a far passare i concetti che fanno gioco a quel mondo.”


Andrea Fiamma

Si occupa di fumetti, cinema e televisione. Ha scritto su Fumettologica, Domani, Linus, Rivista Studio, Mangasplaning e The Comics Journal; ha firmato i libri 50 manga da leggere almeno una volta nella vita (Newton Compton, 2021), Giorgio Cavazzano: Oltredisneyano (Comicon edizioni, 2023), Il grande libro dei quiz sulle serie TV (Newton Compton, 2022) e Cinecalendario (Burno, 2024): ha collaborato con il Salone Internazionale del Libro di Torino, Lucca Comics & Games e il Comicon di Napoli.

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