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Human Factor vs Artificial Intelligence

Mentre l’IA generativa continua a dimostrare grande efficienza nella produzione di format televisivi, c’è una formula segreta che le macchine non potranno mai replicare. È il fattore umano, una qualità intrinseca e inimitabile che segna il delicato confine tra creatività umana e artificiale.

SIP (Strategic Inflection Point), è un termine coniato da Andrew Grove che si riferisce a un momento critico in cui cambiamenti significativi nella tecnologia, nella concorrenza o nel mercato richiedono un cambiamento altrettanto significativo di strategia. Quando si verifica un SIP le vecchie regole non sono più valide e gli operatori di quel settore, se non riescono muoversi per tempo nella direzione giusta, rischiano di essere spazzati via, come è accaduto per esempio a Kodak, troppo lenta nel rispondere alla tecnologia delle fotocamere digitali, o a Blockbuster che non è riuscita ad adattare il suo modello di business alla concorrenza online.

Per il mondo dell’audiovisivo (e non solo), l’Intelligenza Artificiale rappresenta un esempio perfetto di SIP, anzi, di “Super-SIP”, perché potenzialmente in grado di rivoluzionare da cima a fondo l’intera filiera. Intendiamoci, nella storia dell’umanità mutamenti altrettanto profondi ci sono già stati: il motore a vapore a fine del Settecento cambiò per sempre i sistemi di produzione e i trasporti fino a quel momento imperanti, giusto per dirne uno. Questa volta però sembra essere diverso, per due ordini di ragioni. La prima è la velocità con cui questa trasformazione sta avvenendo, questa sì davvero eccezionale e senza precedenti. Per limitarci a un solo esempio, Chat GPT è l’applicazione con la crescita più rapida di tutti i tempi, avendo raggiunto 100 milioni di utenti attivi nel solo mese di gennaio 2023; per fare un confronto, TikTok ha impiegato nove mesi per raggiungere i 100 milioni e Instagram ha impiegato due anni e mezzo. E poi c’è un aspetto per così dire “qualitativo”, perché quella parola “intelligenza” (facoltà ritenuta tipicamente umana) unita a un termine come “artificiale” disturba non poco per le sue implicazioni sociali, psicologiche, filosofiche e quant’altro. 

Il fattore umano e i suoi format

Per non spingerci troppo oltre e rimanere nei confini del nostro settore, tale quesito desta particolare preoccupazione ed è particolarmente pressante per lo sviluppo impetuoso della Generative AI, ovvero quell’insieme di tecnologie in grado per l’appunto di generare nuovi testi, immagini, audio o video. E, in particolare, per quei tool text-to-video (Sora, Vidu, Kling, Gen-3Alpha, VEO e i tantissimi altri che stanno spuntando come funghi), in grado di generare contenuti video di realismo impressionante a partire da un semplice input testuale. Sì, d’accordo, per il momento sono ancora molto corti (da 1 a 3 minuti, nel momento in cui scrivo queste righe) e non sempre fluidissimi, ma è inutile farci illusioni: sono limiti che verranno superati in un batter di ciglia. Tanto da far domandare a tutti noi che operiamo in questo campo a vari livelli e con varie competenze se il nostro lavoro servirà ancora, e se tutte le professionalità impiegate nella filiera produttiva (autori, registi, produttori e giù fino agli attori e ai partecipanti dello show) non saranno sostituite in blocco da questi software in un futuro non troppo lontano.

Rimarrà sempre una larghissima fetta di programmi che non potranno mai venire creati dall’IA e che continueranno a essere fatti “alla vecchia maniera”. Sono contenuti di genere e “sapore” molto diversi tra loro, ma con una caratteristica comune: posseggono tutti l’HF (Human Factor), ovvero sono “fatti da umani per esseri umani”.

È inutile nasconderlo: gli strumenti di IA si diffonderanno in modo esponenziale ed entreranno in modo massiccio nel nostro e in molti altri settori, e sarà meglio che cominciamo a impratichirci nell’uso di tali mezzi, perché, parafrasando un celebre motto di Sergio Leone, quando un professionista che non sa usare l’AI incontra uno che la sa usare, quello che non la sa usare è un uomo (professionalmente) morto. 

Però – tranquilli! –  rimarrà sempre una larghissima fetta di programmi che non potranno mai venire creati e prodotti in questo modo e che continueranno a essere fatti (più o meno) “alla vecchia maniera”. Sono contenuti di genere e “sapore” molto diversi tra loro, ma con una caratteristica comune: posseggono tutti quanti l’HF (Human Factor), ovvero sono “fatti da umani per esseri umani” e traggono il loro motivo di interesse proprio per il fatto di “essere prodotti come si faceva un tempo” e di avere per protagonisti persone “in carne e ossa” come noi, e non personaggi virtuali, creati con l’AI.

Prendiamo per esempio i programmi ad alto tasso emotivo, ancora diffusi e amatissimi in ogni angolo del pianeta (e quindi con un tasso di HF molto alto). L’intramontabile C’è posta per te, o il più recente francese Maintenant ou Jamais, o moltissimi altri ancora sono visti e hanno successo (e continueranno ad averlo) perché sono basati sull’eterno gioco – sempre uguale e sempre diverso – delle emozioni, delle passioni e dei sentimenti umani. Ebbene, tutti questi contenuti si basano sul presupposto che sono gli esseri umani “veri” a provare sulla loro pelle quelle determinate reazioni emotive, così “umane”, appunto. Protagonisti virtuali, pur creati nel modo più realistico possibile, non susciterebbe mai lo stesso interesse: non può coinvolgere emotivamente un essere creato artificialmente che piange perché è stato lasciato da un altro essere virtuale. E se i protagonisti devono essere umani “in carne e ossa”, allora anche il processo produttivo deve prevedere necessariamente la presenza di professionisti “in carne e ossa”, anche se, come si diceva, aiutati e coadiuvati nel loro compito da strumenti di IA, che renderanno il loro lavoro più efficiente.

Stesso discorso per quei tantissimi programmi il cui fine è “spingere i protagonisti oltre i propri limiti”, per vedere, anche in questo caso, come reagiranno alle forti pressioni esterne. Sono i “fratelli” e i “discendenti” di Survivor, tanto per essere chiari, che in questi anni stanno avendo un enorme impulso, tanto da rendere tale trend (che si potrebbe etichettare come into the wilderness) uno dei più diffusi a livello planetario. Anche in questo caso sono format che funzionano e hanno successo perché sappiamo che sono persone “in carne e ossa” come noi a subire quelle sollecitazioni fisiche e psicologiche, che li portano a loro volta ad avere quelle determinate reazioni, spesso molto esplicite e coinvolgenti. Se fosse un personaggio virtuale (che noi sappiamo essere tale) a subire quelle stesse sollecitazioni non susciterebbe in noi assolutamente niente. E quindi, anche in questo caso, se sono necessari protagonisti “in carne e ossa”, anche i professionisti che realizzano il programma, devono essere “in carne e ossa” e devono essere lì, in location, per cogliere in presa diretta e dare la dovuta importanza all’Human Factor, senza il quale tali format non avrebbero letteralmente motivo di esistere.

Inimitabilmente umano

Più in generale, l’HF è presente e deve venire adeguatamente valorizzato in tutti quei programmi che soddisfano alcuni bisogni umani fondamentali, e che, non a caso, sono i “serbatoi” dei contenuti non-fiction fin dalla nascita della televisione: giocare, emozionarsi, ridere. Proprio per questa ragione continueranno a essere creati e prodotti “alla vecchia maniera”, con protagonisti “veri” e un uso di software AI abbastanza limitato ed esclusivamente a supporto dei professionisti umani. È un fatto puro e semplice di empatia, che scatta soltanto con la presenza di nostri simili al di là dello schermo (oltre che ovviamente dal vivo), o altrimenti non scatta affatto. E laddove c’è l’HF non ci può essere l’IA, o almeno non in maniera preponderante.

Nonostante l’iperrealismo dei video AI, questi non riusciranno mai a simulare l’Human Factor.. Ci sarà sempre un infinitesimo lampo negli occhi, o un’impercettibile contrattura delle labbra a rendere chiaro che dall’altra parte dello schermo c’è una creatura in carne, ossa ed emozioni come noi.

Una breve parentesi per prevenire una possibile obiezione: l’Human Factor non può essere contraffatto. Per quanto i video creati con tools di Intelligenza Artificiale sono – e saranno sempre più – iper-realistici, non riusciranno infatti mai a simulare l’HF in un contenuto di media o lunga pezzatura. Ci sarà sempre un infinitesimo lampo negli occhi, o un’impercettibile contrattura delle labbra a rendere chiaro ai telespettatori che dall’altra parte dello schermo c’è una creatura in carne, ossa ed emozioni come noi. E in ogni caso l’aspetto legislativo sembra ben orientato a imporre di indicare chiaramente quando si è in presenza di personaggi artificiali; e chi dovesse infrangere questa regola e venisse scoperto – eventualità assai probabile – andrebbe incontro a ripercussioni, non solo dal punto di vista legale, tali da scoraggiare, o comunque ridurre fortemente, tale pratica fraudolenta.

Un discorso del tutto analogo si può del resto fare pure per la fiction. Quella “ad alto tasso di HF”, come i film e le serie sentimentali, o comunque ogni volta in cui le emozioni – in tutte le loro declinazioni e sfaccettature, dal pianto al riso – svolgono un ruolo fondamentale, continueranno sempre ad essere fatti “dall’uomo per l’uomo”, con protagonisti al 100% umani. Anche se sappiamo infatti che in questo caso si tratta di finzione, e si tratta “solo” di attori che interpretano una parte sceneggiata, ci appassioniamo alle loro emozionanti vicende proprio perché, anche in questo caso, hanno per protagonisti nostri simili e quindi, nonostante siamo coscienti che stanno recitando una parte, risulta comunque eccezionalmente coinvolgente.

Viceversa, i prodotti basati quasi esclusivamente sugli effetti speciali, con situazioni poco realistiche, che sono fruiti per il loro grado di spettacolarità (i film con i supereroi, per fare un esempio), potranno venir realizzati in toto con i tool text-to-video, senza la presenza fisica di alcun attore in carne e ossa e senza dunque dover filmare e produrre alcunché. In questo caso infatti la domanda è inversa: se guardo una scena solo perché è avvincente e spettacolare, che m’importa di sapere se dentro quella tuta che vola a velocità supersonica c’è un attore vero o si tratta di una figura generata dall’AI?

In conclusione: la genAI si evolverà e raggiungerà livelli qualitativi impressionanti da un punto di vista visivo e di realismo complessivo; ma non potrà mai sostituire l’HF, che continuerà quindi a essere il nostro principale punto di forza e il nostro alleato più prezioso per battere (almeno in parte) l’Intelligenza Artificiale. 


Axel Fiacco

Ha oltre vent'anni di esperienza nel campo dell’unscripted. Docente in vari corsi universitari, svolge attività di consulenza e formazione a case di produzione e broadcaster italiani ed esteri. Nel 2021 fonda Format Espresso, un hub creativo e distributivo specializzato in IP, creatività, co-produzioni internazionali e distribuzione. Tra le sue pubblicazioni: Unscripted Formats. Teoria e pratica dei programmi televisivi globali (2020). La sua Friday's Espresso è la newsletter professionale sui format più seguita.

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