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Tutta Nvidia

Appena fuori dai riflettori delle Big Tech c’è un’azienda la cui tecnologia esercita da anni un’influenza senza precedenti sull’innovazione digitale e il suo mercato. La rivoluzione di Nvidia è silenziosa e inesorabile, una conquista che si fa strada una GPU alla volta.

“A tutti voi studenti di Stanford, auguro abbondanti dosi di dolore e sofferenza”. È una scelta di frase insolita per concludere un discorso pubblico ai laureati della nota università statunitense, ma Jensen Huang non è un personaggio tradizionale. Se Steve Jobs nel 2005, parlando allo stesso uditorio, optò per una frase passata alla storia (“Stay hungry, stay foolish”), Huang ha preferito puntare sul dolore e soprattutto sulla resilienza, parola-chiave di questi tempi, e virtù che, secondo lui, non si può insegnare “se non augurandovi di soffrire”.

A questo punto, quest’uomo potrebbe sembrare il cattivo di un film che si diverte ad augurare il peggio alle giovani promesse e lavora alacremente nel suo laboratorio sotterraneo per distruggere il mondo. E invece, si tratta del co-fondatore e amministratore delegato di Nvidia, azienda statunitense nata nel 1993 e specializzata in unità di elaborazione grafica (o processori grafici, in inglese graphics processing unit, da cui la sigla GPU), un componente informatico diventato essenziale per molti settori, tra cui quello delle intelligenze artificiali. È stato proprio il recente sviluppo di questa tecnologia a fare crescere il valore di Nvidia portandola, lo scorso febbraio, a duemila miliardi di dollari, superando persino la capitalizzazione di mercato di Amazon. (Nelle settimane successive il vento è cambiato e l’azienda ha vissuto il secondo calo di valore più grande nella storia, scendendo a “soli” 212 miliardi di dollari, per poi risalire.)

Il rapporto tra Nvidia e il settore delle AI è molto stretto. Quando nel maggio del 2023 si venne a sapere che ChatGPT, il chatbot di OpenAI che ha dato avvio alla corsa all’oro nel settore, era stato sviluppato – o “allenato”, come dicono gli addetti ai lavori – utilizzando “un supercomputer Nvidia”, il valore dell’azienda aumentò di circa duecento miliardi di dollari, come scrive il New Yorker. Nei mesi precedenti Huang aveva dichiarato di aver venduto supercomputer pensati per allenare le reti neurali artificiali alla base di quelle che chiamiamo IA ad almeno sei aziende, confermando il ruolo fondamentale dei suoi prodotti per la next big thing. Come ha detto un analista di Wall Street, “c’è una guerra in corso per le intelligenze artificiali e Nvidia è l’unico produttore di armi”.

Storia di un supercomputer

L’importanza strategica che le GPU avrebbero assunto nella nostra epoca non era affatto evidente nel 1993, anno di fondazione di Nvidia. L’azienda era nata per volere di Huang e dei colleghi Chris Malachowsky e Curtis Priem, che avevano fiutato il business nascente della elaborazione grafica, di cui industrie come quella del cinema (gli effetti speciali), della grafica in 3D e dei videogiochi avevano crescente bisogno. Nvidia avrebbe fatto quello, e basta, e lo avrebbe fatto meglio di chiunque altro, ritagliandosi una posizione dominante in settori ancora giovani.

Nvidia è un’azienda specializzata in unità di elaborazione grafica (GPU), un componente informatico essenziale per molti settori, tra cui quello delle AI. È stato proprio il recente sviluppo di questa tecnologia a fare crescere il valore di Nvidia, portandola a duemila miliardi di dollari e superando persino la capitalizzazione di mercato di Amazon.

Per dare un’idea dell’influenza avuta da Nvidia in questo ambito basta pensare che fu proprio l’azienda a inventare le “unità di elaborazione grafica” presentando una sua scheda grafica di nuova generazione chiamata GeForce, nel 1999. A differenza delle tradizionali unità di elaborazione centrale (dette CPU, dall’inglese Central Processing Unit), infatti, queste GPU suddividevano i complessi calcoli matematici in tante piccole operazioni che poi processavano in un unico momento, in un complesso processo chiamato “calcolo parallelo”. Come ha riassunto il New Yorker, la differenza tra CPU e GPU è notevole: nel primo caso è come se avessimo a che fare con un furgone per le consegne che gestisce un pacco alla volta; nel secondo caso, si utilizza invece una flotta di motociclette disperse in tutta la città.

Il passaggio tecnologico da una scheda grafica all’idea di un supercomputer è stato poi cruciale. A compierlo fu Ian Buck, studente di Stanford che si era fatto le ossa hackerando e collegando tra loro diverse GeForce per giocare al videogioco Quake e proiettare le partite utilizzando otto proiettori. Per farlo, Buck dovette soprattutto accedere ai circuiti pensati per il calcolo parallelo, convertendo la scheda grafica in un minuscolo supercomputer e dimostrando le capacità ancora inespresse del prodotto. Poco dopo fu assunto da Nvidia.

Una GPU per domarli

Questa trasformazione ha aperto un orizzonte del tutto inaspettato per l’azienda, portandola ad affermarsi in settori lontani da quello videoludico. Lo si è visto durante il periodo pandemico, quando l’interesse e l’hype mediatico legato alle criptovalute raggiunse il suo apice, e spinse molte aziende a investire in – ancora una volta – schede video Nvidia. Criptovalute come Bitcoin, infatti, possono essere create – o coniate – solo risolvendo complessi enigmi matematici che richiedono un enorme potere computazionale (oltre che tantissima energia). La soluzione? Creare una mining farm con decine, centinaia, migliaia di dispositivi simili messi in serie per ottenere più Bitcoin possibili. 

Nei mesi più caldi della febbre crypto, Nvidia mise persino in vendita dei chip appositi (CMP, o Cryptocurrency Mining Processor) pensati proprio per questa funzione. L’obiettivo era duplice: da un lato mettere definitivamente il cappello sul settore, dall’altro dare alle aziende del crypto un prodotto specializzato, evitando che queste comprassero tutti i chip prodotti da Nvidia, lasciando il resto degli utenti a secco.

Finita la bonaccia delle criptovalute, iniziò quella delle AI, un settore su cui Nvidia può contare un controllo ancora più forte. Quando a inizio 2024 Mark Zuckerberg annunciò il rinnovato impegno di Meta nelle intelligenze artificiali, decise infatti di citare un dato su tutti: il numero di unità di elaborazione grafica (o GPU) che il gruppo aveva acquistato, 600mila entro la fine l’anno (di queste, 350mila erano del tipo H100 AI, prodotte da Nvidia). E specificò che nessun’altra azienda ne aveva così tanti. Perché farlo? Perché se l’azienda è l’unico fornitore di armi in questa guerra, il suo H100 AI è l’artiglieria definita, quella che dovrebbe far vincere la guerra in questione. Più recentemente anche Elon Musk ha annunciato che Tesla è in possesso di 35mila H100 AI e che per sviluppare Grok, l’intelligenza artificiale dell’azienda, ne serviranno fino a centomila.

Quando a inizio 2024 Mark Zuckerberg annunciò il rinnovato impegno di Meta nelle AI, decise di citare un dato su tutti: il numero di unità di elaborazione grafica (o GPU) che il gruppo aveva acquistato, 600mila entro la fine l’anno (di queste, 350mila erano del tipo H100 AI, prodotte da Nvidia).

Alla luce di questo è possibile capire l’accoglienza trionfale riservata a Huang lo scorso marzo in un evento che Nvidia ha soprannominato “la Woodstock delle AI”, ma che in realtà si chiama GPU Technology Conference ed è una conferenza annuale nerdissima su un componente che di solito non si vede, ma che alimenta e fa funzionare un intero settore. Huang è salito sul palco con un giubbetto di pelle scura adottando il look da cinquantenne ribelle già adottato in questi mesi da Elon Musk (ma anche Andrea Scanzi). A differenza di Musk, però, il nostro non presenta stranezze né si inceppa mentre parla: va spedito e liscio come se girasse su GPU di ultima generazione, e mostra slide a un pubblico che lo ha accolto come fosse lo Steve Jobs di quindici anni fa. 

Un punto a cui è arrivato mantenendo un’organizzazione snella all’interno di Nvidia. Huang pare sia solito a “centinaia di mail al giorno”, spesso di poche parole e simili ad haiku, secondo alcuni testimoni, e spinge i suoi sottoposti a muoversi velocemente e inseguire settori nuovi, come quello delle GPU tanti anni fa. Li chiama “mercati da zero miliardi di dollari” e sono lì, senza troppi consumatori e senza soprattutto concorrenza: vanno solo individuati, riconosciuti e occupati. Riuscirci è complicato ma è il genere di magia che a Jensen Huang sembra riuscire.


Pietro Minto

Nato a Mirano, in provincia di Venezia, nel 1987; vive a Milano. Collabora con Il Foglio, Il Post e altre testate. Dal 2014 cura la newsletter Link Molto Belli.

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