Dopo musica, cinema e tv, il modello distributivo dell’abbonamento in streaming si sta avvicinando anche al videogioco. Anche Netflix si è mossa. Ma funzionerà?
Si parla da tempo di convergenza tra cinema e videogiochi. Ma lo si fa spesso a sproposito, senza cognizione di causa: le idiosincrasie dei due media rendono qualsiasi ipotesi di convergenza infondata. Per converso, le affinità tecniche e fenomenologiche tra videogame e televisione sollecitano un altro tipo di considerazioni. Nell’era della post-tv, caratterizzata dal superamento del broadcasting tradizionale e dall’affermazione dello streaming come modalità privilegiata di consumo, la console si presenta come un set top box che propone, oltre ai videogiochi, anche serie, film, video ed eventi in diretta grazie a una varietà di app. L’anomala coesistenza di contenuti audiovisivi interattivi e non-interattivi è destinata a complicarsi dopo il recente annuncio della collaborazione tra Netflix e lo studio Telltale Games. Gli autori delle serie interattive di The Walking Dead e Game of Thrones stanno infatti lavorando all’adattamento videoludico di Stranger Things, nonché a un’”avventura interattiva” basata su Minecraft: Story Mode. Il primo sarà disponibile per varie piattaforme (console e pc) in una data da definire, laddove l’adattamento del celebre gioco a blocchi di Microsoft è previsto in autunno su Netflix.
La notizia è significativa, perché conferma che l’evoluzione dell’azienda da distributore di contenuti sviluppati da terze parti a creatore tout court non si limita agli audiovisivi. Ciò tuttavia non significa che Netflix abbia intenzione di trasformarsi in un publisher videoludico a tutti gli effetti: l’azienda lo ha apertamente negato. Semmai, attesta l’interesse a diversificare la propria offerta a fronte delle mutate condizioni di consumo, adottando il modello della transmedialità.
Sperimentazioni in corso
Laddove gli esperimenti videoludici di Amazon non hanno ottenuto riscontri significativi – l’azienda ha investito milioni di dollari per lo sviluppo di Lumberyard, un motore basato sul popolare CryEngine che a tuttoggi stenta a decollare – Netflix è restia a perseguire la via del game design. Semmai, l’azienda di Los Gatos considera il videogioco un esempio di marketing interattivo (è il caso di Stranger Things, un puro tie-in) e un supplemento ludo-narrativo. L’annunciato Minecraft: Story Mode è una serie interattiva di cinque episodi che segue il modello di prodotti come Stretch Armstrong: The Breakout, Puss in Book: Trapped in an Epic Tale e Buddy Thunderstruck: The Maybe Pile già disponibili su Netflix. Questi pseudo-videogiochi prevedono un’interazione molto limitata grazie a un’interfaccia semplice, che non richiede controller dedicati. Da parte sua, Amazon Prime offre numerose avventure sviluppate da Telltale Games e fruibili con il telecomando di Fire TV, tra cui Minecraft: Story Mode, The Walking Dead, The Wolf Among Us e Marvel’s Guardians of the Galaxy. La modalità di interazione è paragonabile a quella dei librigame, per cui l’utente può scegliere tra un numero limitato di opzioni al fine di modificare lo svolgimento narrativo, fermo restando che ogni possibile scenario è stato pianificato a monte dal designer. Aldilà delle peculiarità formali di queste produzioni, il crescente interesse di Netflix per i videogiochi è importante poiché l’azienda californiana può contare su un’utenza di oltre 125 milioni di abbonati, una cifra che si avvicina a quella della base installata mondiale di console, pari a 135 milioni di unità (78 milioni di Sony PlayStation 4, 39 milioni di Microsoft Xbox One e 18 milioni di Nintendo Switch).
Ma la convergenza ludo-televisiva non si limita agli esperimenti di Netflix. Già da qualche anno, i publisher videoludici hanno adottato i modelli distributivi di Netflix, Hulu e Amazon Prime. E così com’è avvenuto nel settore della musica, lo streaming potrebbe prima affiancare e poi rimpiazzare il download digitale. Si tratterebbe di un cambio di paradigma. In un’intervista rilasciata a Variety il 6 giugno, Yves Guillemot, presidente della più importante software house europea, Ubisoft, ha dichiarato che l’era delle console – intese come dispositivi ad hoc, collegati al televisore – va tramontando. “Ci sarà un’altra generazione [di console], ma gradualmente l’hardware diventerà sempre meno rilevante. Con il tempo, lo streaming diventerà più accessibile a un gran numero di giocatori e non sarà più necessario acquistare apparecchiature dedicate. In breve, avremo un’altra generazione di console. Dopodiché, sarà streaming per tutti”.
L’azienda di Los Gatos considera il videogioco un esempio di marketing interattivo (è il caso di Stranger Things, un puro tie-in) e un supplemento ludo-narrativo. Questi pseudo-videogiochi prevedono un’interazione molto limitata grazie a un’interfaccia semplice, che non richiede controller dedicati.
Cambio di strategia: tocca allo streaming
Nel frattempo, Sony e Microsoft stanno ridefinendo la propria funzione da produttori di videogiochi a venditori di accesso ai videogiochi sviluppati da terze parti attraverso servizi di streaming simili a quelli di Netflix. Questa strategia è perseguita anche dai più importanti publisher mondiali. Nel corso della Deutsche Bank Technology Conference 2018, il vice-presidente delle relazioni con gli investitori di Electronic Arts, Chris Evenden, ha confermato che l’azienda punta alla creazione di un’infrastruttura di distribuzione di contenuti ludici in aggiunta al core business, basato sullo sviluppo e commercializzazione di prodotti come FIFA, Battlefield e The Sims. Tale infrastruttura diversificata include servizi in abbonamento, per esempio EA Access e Origin su console (Xbox One) e pc, nonché Xfinity Games, offerto dal 2015 su Comcast Xfinity, uno dei principali internet provider americani. “Chi vuole giocare a FIFA negli Stati Uniti deve investire almeno $460”, ha dichiarato Evensen. “Devi comprare una copia, devi comprare la console… Ma in un mondo in cui lo streaming è pervasivo, il costo di accesso scenderebbe a $9.99 al mese […]. Questo amplierebbe enormemente il mercato, perché tutto quello che serve non è più una console, ma una smart tv e un collegamento a internet”. Il CEO di Electronic Arts, Andrew Wilson, ha espresso dei giudizi analoghi nel corso dell’ultima edizione dell’Electronic Entertainment Expo di Los Angeles, a giugno. Wilson ha fatto notare che l’influenza dello streaming e dei servizi di abbonamento videoludici è in forte crescita rispetto al download o all’acquisto di giochi “pacchettizzati” attraverso la formula del retail.
La stessa Microsoft punta al superamento del modello Xbox Game Pass, il servizio di abbonamento mensile o annuale in digital download introdotto nel giugno 2017, attraverso la formula dello streaming. Rispetto a servizi mono-brand, come il summenzionato EA Access, Game Pass offre un catalogo multi-publisher e multipiattaforma (Xbox One, Xbox 360 e Xbox). Va tuttavia ricordato che gli ostacoli, sul piano tecnico ed economico, sono enormi: la creazione di un colossale database di videogiochi attraverso piattaforme cloud accessibile on demand è complicato dal fatto che le dinamiche di fruizione videoludica prevedono tempi di risposta millesimali da parte dell’utente. Anche per questo motivo, lo streaming dei videogame è stato a lungo una chimera: pur essendo tecnicamente possibile, l’adozione su vasta scala è stata limitata. Si pensi a OnLive, introdotto nel 2009, e presto abbandonato, nonostante la successiva collaborazione con Steam, l’iTunes dei videogiochi. Nel 2014, Sony ha introdotto PlayStation Now, un servizio di abbonamento cloud gaming che offre oltre seicento videogiochi per PlayStation 4, PlayStation 3 e PlayStation 2. Anche in questo caso, i riscontri sono stati modesti. Nel febbraio 2017, Sony ha interrotto il supporto per PlayStation 3, PlayStation Vita e PlayStation TV, nonché per tutti gli apparecchi televisivi della linea Bravia e Samsung. Laddove il modello originale prevedeva il noleggio temporaneo, PlayStation Now è disponibile ora solo in abbonamento al costo mensile di 20 dollari negli Usa e 15 euro in Europa.
“Gradualmente l’hardware diventerà sempre meno rilevante. Con il tempo, lo streaming diventerà più accessibile a un gran numero di giocatori e non sarà più necessario acquistare apparecchiature dedicate. In breve, avremo un’altra generazione di console. Dopodiché, sarà streaming per tutti”.
Speranze e criticità
La situazione potrebbe tuttavia cambiare nel momento in cui un’azienda delle dimensioni di Microsoft decidesse di investire massicciamente in questo settore. Diversi osservatori ritengono che nel giro di pochi anni l’Xbox Game Pass – o, meglio, il suo successore – potrebbe effettivamente emulare il funzionamento di Netflix e Spotify. Inoltre, l’intenzione di Microsoft di superare il modello della console dedicata con un ecosistema di piattaforme “leggere”, distribuite e mobili recentemente descritto da Phil Spencer, presidente esecutivo della divisione gaming di Xbox, sembra andare nella direzione ipotizzata da Guillemot.
Altri osservatori ritengono tuttavia che le specificità del medium videoludico rendano il modello dell’abbonamento meno appetibile rispetto a contenuti come film, serie tv e musica. C’è un’intera scuola di pensiero che assimila il videogioco non tanto al cinema o alla tv quanto al romanzo: artefatti autonomi, discreti, sostanzialmente conchiusi, fortemente immersivi, che richiedono un investimento cognitivo e temporale considerevole e non quantificabile a monte. La durata della fruizione, infatti, non dipende solo o tanto dalle caratteristiche del testo, quanto dalla competenza, interesse e coinvolgimento dell’utente. È una delle ragioni per cui i vari servizi di abbonamento all-you-can-read ai libri offerti da Amazon, Scribd o Oyster non hanno a tutt’oggi riscosso grande successo. Rispetto all’all-you-can-play modellato su Netflix funziona meglio la formula della curatela, l’equivalente videoludico di Mubi, spesso limitata alle produzioni videoludiche indie, d’autore. Tra i tanti dubbi, c’è però una certezza: il futuro del videogioco coincide, in larga parte, con il futuro dei sistemi di distribuzione del videogioco stesso.
Matteo Bittanti
Artista, curatore e accademico, investiga gli aspetti culturali, sociali ed estetici delle tecnologie emergenti, interessandosi soprattutto del rapporto tra arte e videogame. Insegna media studies e game studies all'Università IULM. Vive tra Milano e San Francisco.
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